Archivi giornalieri: lunedì, 13 marzo, 2006

male di africa

Sbirciavo i blog notes degli altri.

Giuravo (giuravo è onestamente troppo: mi ripromettevo o mi riprogammavo. Diciamo che premevo control alt canc e mi inibivo).

Insomma, mi dicevo che non mi sarei annacquata nelle mie depressioni noiose.

Vero è che se uno mi legge sono fatti suoi, ma, ecco, mi sarebbe dispiaciuto annoiare con le mie pen(n)e varie.

Ma le lacrime sono irresistibili come l’acqua. Basta che la cartella tamarri ed eventuali della radiomobile tiri fuori graziani ivan, che tutto scolora. Con quella storia che Firenze non è riuscita a cambiarla, lo studente barbarossa di filosofia, una donna da amare in due, la sua casa è il mare con un fiume non la può cambiare.

Da piccola (più piccola) mi piaceva il pane senza sale.

Avevo una nonna a Firenze che mi lasciava svuotare il porta pane di tutto il pane presente passato futuro.

Ero piccola e niente era più saporito della cosa più pulita: il pane senza sale.

E poi venivo imboccata di proteine guardando i tetti: mi sembravano meravigliosi.

Le tegole e i camini.

Invece a Marsala no.

Non c’erano camini perché non serviva il riscaldamento.

Non c’erano le tegole, perché non perturbava e non perturba (infatti quando piove finisce la luce e finiscono le strade, ma succede talmente raramente che non conta): tutti tetti orizzontali e bianchi.

Astraco solare.

E poi la Sicilia ed elenchi di quello che non và.

Quando hai quattordicianni e quaccheri come una papera e non sai se è meglio fare l’astronauta oppure l’ambasciatore a mosca e il muro è caduto ma ci sono i paralipomeni. Oppure, anzi, vuoi fare il medico senza frontiere che scopre il vaccino contro il mal di amore.

Quando hai quattordicianni non sopporti che stai in un posto piccolo e tutti sanno tutto di tutti, poco di sé, ma non importa perché abbiamo tante maschere da marsalabene. E l’anticonformismo è stranitudine, e un bacio dietro un angolo è un fidanzamento (anzi, uno zitamento).

E non sopporti che non ci sia un teatro (e devi andare al biondo a palermo a vedere pirandello, perché pirandello attenua la pirLandellaggine, e poi devi mangiare iris alla nutella da spinnato, e discutere sull’autobus se siano meglio i quin o gli uddue, che tempi).

E non sopporti che non ci sia un cinema, anzi, che non ci siano due cinemi: uno c’è, ma è uno, e ti spiattella vacanze di natale per otto settimane di fila e fondi, finché poi non arrivano le vacanze di pasqua ed è troppo caldo per andare al cinema. Poi ci sarebbe un altro cinema, ma un ex porno, e non ci può andare nessuno, perché se qualcuno che non sa che il cinema non è più porno ti vede entrare, scatta la tragggedia greca con otto gi, che neanche l’antigone poteva tanto.

E poi c’è una libreria sola: dolcissima, con un libraro meraviglioso, ma una è. E se hai quattordici anni e vuoi regalare a quello che ti piace (anzi, a quello che VUOI tanto) un libro di poesie e vuoi neruda (sei ancora piccola per merini, che bello), e neruda è finito, ci vogliono due settimane forse tre: ecco. Ecco, pensi: tutta colpa di questo borgo borgaggio, l’amore della mia vita interrotto solo perché non c’è un’altra libreria o i grossisti sono grassi e pigri e non consegnano.

E poi le solite facce, le solite espressioni, i soliti posti, il solito lungomare, il solito vino.

Come fai a cambiare il mondo? Ti chiedi. Mi chiedo.

Il caldo, la calma, la rabbia ormai addomesticata. E tutti ti guardano male se ti stacchi un momento. Come fai a cambiare il mondo? Ti chiedi. Mi chiedo. Me ne vado. E un ippopotamo mi diceva: la vera sfida è restare.

E invece no. Lascio l’acqua e lascio la terra perché ho bisogno di aria. E l’aria mi serve per il fuoco. Sono sagittario, dopo tutto. Due cose non sopporto: la noia e la solitudine, e se mi annoi o mi lasci sola me ne vado.

E siamo qua. Bilanci non ne facciamo perché mancano due anni ai trenta anni, e comunque i bilanci si fanno quando l’anno è un numero primo. E però un pero, un melo, un melodramma.

Sono qui. In questo posto dove a forza di lavare i panni nell’arno si sono dissolti i colori.

A forza di essere eleganti e snob si sono bloccate le emozioni. Puoi essere originale, non ti guarda male nessuno, ma non ti guarda neanche.

E non è che non ci provi, ad essere: anzi, ti infiocchetti, ti racconti su un piatto, ma ti senti un avanzo.

Cosa è che non torna? E perché non torna, dov’è andato?

Ed è mai possibile che in dieci anni dieci anni dieci anni (non trenta, dieci) gli amici veri (quelli che lo sanno cosa hai, se sei felice, triste o medio) stanno da roma in giù (o da napoli in giù, o dalla calabria saudita in giù).

Il pane senza sale non mi piace più.

Non mi piacciono i brodi e tutto quello che si mangia col cucchiaio.

Non mi piacciono i crostini coi fegatini.

E sono stanca di bere chianti e di sentire una città che si culla.

Sulle persone che ti dicono: èèèè però, i fiorentini sono chiusi. Porca vacca, apritevi: non dà fastidio avere un manico di scopa che blocca il flusso di emozioni?

chi l’ha prescritto? Dante? Un medico? I medici?

E già che ci sono, la bistecca: è buona solo una volta ogni cinque.

E fa freddo d’inverno (e fino a diciotto anni non avevo mai visto un parabrezza). E fa caldo, d’estate (e il mare è tra un’ora e mezzo di coda. in dieci minuti, però, trovi un sacco di cloro che ti rende aristocraticamente candida).

La verità, vi prego, sull’amore.

La verità è che doveva bastarmi il mare.

Lo scirocco.

I ricci.

Le melanzane lillà anziché viola addolorata.

Il nero d’avola.
Pensare che se tutti conoscono le COSE TUE, forse conoscono anche te. E non ti fanno sentire la noia e neanche la solitudine.

Non bastava un film alla volta?

Non poteva piacerti di più Tommaso a Lampedusa? Ricordarti di Pantelleria così vicina?

E siamo qua.

A guardare il fiume cascare su se stesso per ricordarmi le onde.

A fare la sauna per drogarmi di caldo e ridere talmente forte “che mi uscirono” le lacrime dal naso.

c.

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