Archivio mensile:giugno 2006

chiatenaccio

IL CALCIO SENZA FOSFORO COME METAFORA DELLA VITA MI DÀ TANTI ASSIST.


mizzica lo so che io sono agitata non mescolata (shaken not stirred, come la vodka martini),

che anche se il freno motore mi fa ridere e mi dà soddisfazione (“questo minestrone, tutto il circondario saprà..”),

in terza proprio non ci so stare, e se potessi passerei dalla prima alla quarta in diagonale

(e solo perchè la quinta direttamente comporterebbe degli zigzaggamenti),

che non so aspettare e non so stare ferma.


ergo bombergo se fossi pucci pucci cippi lippi adotterei (adotterei un cocker arancione e lo chiamerei picasso),

adotterei lo schema zemaniano sul quale parole hanno blowingato in the wind del blog.

a proposito, 3 consigli per venerdi:

a) mettere tre punte (inzaghi, toni e totti

– totti solo per via del rigore, ma si sa che basta pocho a convincermi),

quattro centrocampisti (grosso, matarazzi –

forse matarazzi non può giocare? vabbè, neanche io sono lippi -,

gattuso – che mi piace tanto colla sua calabrosità di pancia che corre tanto tanto tanto, e nesta),

e tre difensivi (zambrotta, perrotta e cannavaro).


b) usare i lati o le fasce o come si chiamano,

insomma avanzare come il nuovo che avanza

un pò stile battaglia alessandromagnina, circumnavigando, circoncidendo, circostanziando.


c) c è davvero una lettera meravigliosa.


d) non fare questi lanci carambolati caramboleschi

che la palla si sa dove parte non si sa dove arriva.

ma tiri bassi dritti e forti come (qualsiasi metafora mi assume una connotazione sessuale, quindi omissis).


e) dire a buffon che se non ci fosse lui,

e anche che sta meglio col vestito color granata piuttosto che giallo.

però stavo scrivendo un’altra cosa.

e cioè, che nonostante un naturale approccio peripatetico alla esistenza

e nonostante il catenaccio mi faccia antipatia

mi inviluppo nella contraddizione che (sol mi) consente e qui lo dico:

QUANDO SI HA TRA LE MANI

NELLE PIEGHE DELLO STOMACO

STRETTO TRA LE GINOCCHIA

QUALCOSAQUALCUNO DI DAVVERO PREZIOSO:

ME NE INFISCHIO SE POI MI FISCHIO

E FACCIO UN CATENACCIO CHE LO PROTEGGA.


qui lo dico ma tra poco lo nego.

maybe, let it be.


c.

after-eight: com-mentino

chissà se battisti lucio davvero fascista era (“non dire no, non dire no, prendi tutto quello che ho”)

e renis tony (“se vui dirmi di si, devi dirlo perché non ha senso per me la mia vita senza te”)

e allora fornaciari sugar zucchero (“con le mani se vuoi, puoi dire di si”).

forse no (se quelle sono canzoni d’amore ridicole alla pessoa fernando e kundera milan,

se quelle sono cose d’amore ci vogliono un sacco di referendum confermativi, sospensivi, abrogativi…).

quello che conta alla rovescia atnoc (in anagramma tanco, ti voglio tanco bene, anche se non balli il tanco commè)

è che

CI SONO QUORUM CHE FANNO DAVVERO BENE AL CUORUM.

(cambio aggettivo, lascio le chiare petrarchesche e divento sono gozzaniamente felice)

chissà se totti prima di tirare il calcio di rigore (a parte meditare sull’opportunità del calcio a cucchiaio)

canticchiava nella sua mente la leva calcistica del sessantotto.

NO NO NO (you don’t love me and i know now)

sgattopardata referendaria:

se niente deve rimanere com’è, è necessario che niente cambi [così e adesso]

XXII (il filo non lo cerco certo qui)

ossessione autobiografica per il VENTIDUE:

il mio giorno, l’inizio del passaporto, della prima carta di identità, del numero di matricola,
in tante camere di albergo.

cosa scelgo da uno a dieci?

UNDICI perchè è di più (e io non sono per le mezze misure, infatti il cinque come canale cinque mi sta antipatico).

undici perchè è un numero primo. undici perchè sono due uni vicini e romantici. e se non fosse Chiaro, diventa ventidue.

undici è il mio ono-mastico (a bocca chiusa, anche le gomme, sempre).

se poi faccio un consommé dei numeri della mia data di nascita torna 2-2, ventidue.


il ventiduesimo tarocco è il matto.

“Il fante di cuori che è un fuoco di paglia VOLTA LA CARTA il gallo si sveglia”

il matto è anche il numero zero infatti

“ma era bella, bella davvero, in via dei matti numero ZERO”.

(allora il mio civico numero è davvero 22*2,

QUARANTAQUATTRO come i gatti in fila per sei,

che quando undici vanno via restano in TRENTATRE e trotterellano a trento,

dica trentatre allora, oppure anni di cristo, sempre che qualcun altro non abbia ragione,
che il trentatre salta e saltano le tombole, le smorfie e i binghi solinghi,

ci resta il SETTANTASETTE, le gambe delle donne, il mio anno, la rivoluzione in francia corta,)

e allora?

“Mi alzo al mattino con una nuova Illusione, prendo il 109 per la Rivoluzione, e sono soddisfatto Un poco saggio un poco matto”.

e allora? sessanta minuti? (dipende dalla velocità, HO VISTO UN RE che a centottanta CHIlometri, faceva ventidue minuti)

e allora, il re (ah be, si bè):

allora BASTA chiamare lo SACCO MATTO,

che certo che impazzisce, il re, abbandonato da tutti, con una moglie regina che gironzola come un’ossessa nella scacchiera, mangiatrice di cavalieri,
e lui di casella in casella e di porta in porta, la sua massima compagnia è della torre quando fa l’arrocco barocco, prezzemolo e finocchio,

e allora facciamo che la partita finisce con la rivoluzione dei pedoni,

magari calvino nel castello dei destini incrociati postilloso lo dirà.


e intanto BASTA COLLE MATTANZE DI MATTI:

“Tu prova ad avere un mondo nel cuore

e non riesci ad esprimerlo con le parole,

e la luce del giorno si divide la piazza

tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa,

e neppure la notte ti lascia da solo:

gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro”.


c’è un caldo vento da sud che entra dalla finestra chiusa,

si chiama ventidue e se ne fa uno spiffero della concordanza.


c.

traffico: in-colonna sonora

il mio amore
è
capriccioso & viziato
come una canzone
di mina
(tra mi sei scoppiato dentro il cuore
e
caramelle non ne voglio più)
 
quando saremo grandi però
ci accoccoleremo morbidi
in una canzone di fossati.
 
 
e intanto canto
(sola alle sette di stamattina
sulla quattro corsie da siena a firenze
con la finta faccia da pendolare di Chi invece
è stata a fare festa):
 
“Siamo stati naviganti
con l’acqua alla gola
e in tutto questo bell’andare
quello che ci consola
è che siamo stati lontani
e siamo stati anche bene
e siamo stati vicini
e siamo stati insieme.

Siamo stati contadini noi due
senza conoscere la terra
e piccoli soldati
senza amare la guerra,
ci hanno mandati lontano
senza spiegarci bene
e siamo stati male,
ma siamo ancora insieme.

Grandi corridori di corse in salita
che alzavano la testa dal manubrio
per vedere se fosse finita,
allenati alla corsa
allenati alla gara
e preparati a cadere
e a tutto quello che s’impara,
innamorati della sera
innamorati della luna
conoscitori della notte
senza averne paura,
innamorati di quel fiore
che non vuole mai dire:
ecco, è tutto finito
e bisogna partire.

Ma ora è il momento
di mettersi a dormire
lasciando scivolare il libro che
ci ha aiutati a capire
che basta un filo di vento
per venirci a guidare
perché siamo naviganti
senza navigare
mai.”

soltizio di estate: ondo e ridondo

Oggi, giorno di solstizio

(molto meglio di equinozio)

Tra un’inezia e una facezia,

un’inutile minuzia,

ho deciso: mi do all’ozio

e rifletto sul prepuzio.

Valutato quell’indizio,

lascio il mio uffizio,

interrompo ogni negozio,

firmo un armistizio,

e scappo anche dal comizio.

Abbandono anche il giudizio,

lo confesso meglio il vizio.

E mi basta un solo Tizio

Con ogni nome, anche fittizio

Che sia Muzio, Fabrizio,

Maurizio o anche Properzio

Me ne avvalgo dall’inizio

per un intimo sodalizio,

un acrobatico esercizio,

un simpatico servizio:

voglio togliermi lo sfizio.

E quando alfine sarà uno strazio

lo butterò dal precipizio,

dritto dritto al suo ospizio

pretermettendo lo sposalizio.

Nessun rapporto è un vitalizio,

per un po’ io lo delizio

poi mi stanco e lo giustizio.


Chiarizia Borgia.

appro-fitto di questo spazio per un uso personale.

(Del resto questo spazio è mio e posso pecularlo, corromperlo, concurrerlo,

concupirlo quanto voglio.)

La mia chiAMICA oggi fa il compleanno.

Non è mica un caso che lei sia nata nel solstizio di estate e io in quello di inverno.

Le complementarietà astrali non sono uno scherzo.

Quindi,

come si dice tra indiani:

AUG-URI.

venti giugno del sei

non è bellissimo?

20.06.2006=20062006

non è un pali-ndromo,

ma si sa che per il calcolo delle probabilità dopo un tot di pali scatta la rete.

infatti la mia luna si è raddrizzata.

CHI ‘A fà s’à scorda, chi ll’ave s’ ‘arricorda.

anche le chiare a volte sono tristi

anche le chiare a volte sono tristi.

non riescono a stare su di giri e a diventare meringhe,

stanche che non hanno neanche la forza di impazzire come maionese,

rimangono acquettose sul fondo della ciotola,

e più si domandano perchè non montano e non diventano bianche e dure

più rimangono inutili e tristi (come la birra senza alcool, diceva quello).

e più cercano quella cosa cattiva che non le fa ri-montare (un pezzo di guscio? un pò di tu-orlo?)

più rimangono lì.

al crocevia di tutte le poesie di ungaretti, montale e quasimodo.

e poi?

poi l’ermetismo non basta (il cuki è finito, e l’alluminio – si sa – non riesce a contenere i fluidi)

e allora ci vorrebbe qualcosa di tamarro, qualcosa di tamaro sul cuore e dintorni

la snobbitudine lo impedisce (peccato)

e all’improvviso appare kipling,

che a quanto pare prima di disegnare borse bruttine accessoriate da gorillini antiestetici ancorchè color pastello,

kipling a quanto pare scriveva cose

cose un pò tamarre: ma era troppo presto per qualificarle tamarre.

e così posso copincollarle, sperando che domani sia un nuovo giorno

alla rossellla o’hara

o alla rossella o’chiara:

“se riuscirai a costringere cuore, nervi e muscoli,

benché sfiniti da un pezzo, a servire ai tuoi scopi,

e a tener duro quando niente più resta in te

tranne la volontà che ingiunge ‘tieni duro!’

se riuscirai a riempire l’attimo inesorabile

e a dar valore ad ognuno dei suoi sessanta secondi,

il mondo sarà tuo allora, con quanto contiene,

e – quel che è più – tu sarai un Donna, ragazza mia!”

Kipling Rudyard

(in verità egli la scrisse al maschile. ma solo perchè era maschio).

BomBomdiBonTon

BomBomdiBonTon: galatine e galateo

ovvero: considerazioni brevi e bigotte sull’estetica dell’esame.

cosa spinge una fanciulla di venti anni circa a presentarsi ad un esame di mondo diritto

indossando una maglietta verde

con su scritto “shit”.

dico io, se proprio vuoi andare in giro con la doppia ca addosso,

scrivilo almeno in giapponese, così nessuno se ne accorge.

e cosa spinge una fanciulla di venti anni, anche abbastanza paffutella a presentarsi ad un esame di mondo diritto

con una maglietta bianca con una banana che arriva quasi fino al (non) colletto,

mezza sbucciata e con il frutto coperto di (finti) svaroschi luccicanti?

tesoro mio, lo so che omnia munda mundis (=tutto il mondo è paese?)

ma dopo otto anni di età forse è sconveniente.

e sorvolo sui maschi in canottiera & infradito,

sui soliti tanghi che escono da i gins a vita sotterranea,

e ai uonderbrà spessi cinque centimetri.


è un bell’assist a l’abitononfailmonaco – lo so -,

ma se l’abito non fa il monaco, l’abito può fare il cattivo gusto.

e se mi sento di riportare alla libbbertà di pensiero anche la libertà nel vestire,

la libertà è pur sempre una forma di disciplina.


per una critica della (ir)ragione estetica,

la duchessa di york.

il paese dei campanelli

apre oggi una nuova rubrica su questo scherno di schermo.

il ChiAmbero Rosso.

(CHIssà quanto durerà, se ai facili entusiasmi seguono improvvisi avvilimenti).

per compensare i miei patetici slanci melodrammatici (“ma no chiaretta non dire così…”)

siccome non si srcIVE di solo sale e menchemmmeno di solo diritto

TATATATATATATATAAAAAAAAAAAAAAAAA

TAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

TAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

[rullo di tamburi (l’assonanza con il rullo di canna è frutto della vostra perversa immaginazione olfattiva)]

da oggi parlo pure di purè, cioè dei posti dove ho mangiato che mi piacciono di più.

Prima Puntata:

a questa prima puntata ho in mano un poker di assi e posso giocare senza bleffare:

il piatto sarà mio.

Ieri:

Il paese dei campanelli.

(dovrei scrivere dov’è? aspetta che vado su gugle. anzi no, andateci voi, che la mia pubblicità non è occulta ma sta almeno in penombra. magari dico la località: Loc. Petrognano Semifonte – Barberino Val D’Elsa (Firenze)
Toscana – Italia – Europa – Mondo – Sistema solare – Via lattea muuuuuu – Universo – In espansione – come un fisher. datemi un trapano e vi risolverò il mistero del big bang, oppure quello dell’innamoramento: crash bum bang).

dicevo: il paese dei campanelli.

che è esattamente come il nome:


e che si trova qui:

è assolutamente delizioso e poco affollato.

se poi l’estetica non vi sazia si mangia diciamo da 7 e tre quarti.

non è che posso ricordare tutto il menù.

mi ricordo bene le mie tagliatelle scampi asparagi e calamari (anche se lo so che gli asparagi fanno fare la doppia pì verde, basta mangiarne pochi)

e soprattutto il fritto di tutti i pesci del mondo colle patate tagliate a velo.

il vino non ve lo dico per non fare pubblicità palese a una (le)tizia.

bello e buono e bravo.

alla carta:

pancia piena ma il poker vince anche sul full.


CiBaCiao,

ARAIHC (versione gambero solitario).

Ecuba al quadrato

Senza congiuntivi.

Se metto sulla tavolozza i colORI e gli odORI dei miei tre giorni mi viene una commozione cerebrale.

Le lacrime mi fanno gli oli e le tempere salate (olio e sale va anche bene, posso imbruschettare un blog, ma per temperare il sale ci vorrebbe l’arrotino, e coll’ombrellaio che ci faccio?)

rischio di fare un quadro impressionista, ma Monet e Manet (che sono la versione romantica di cip e ciop? E se ci fosse stato anche minet o munet o menet avrebbero fatto qui quo qua?) ci sono già stati (hanno fatto il loro tempo come i giardini pensili di conte paolo) e non voglio fare un Post Posticcio.

Allora solo un Poster Posticcio sempre, ma senza pretese (portò l’amore nel paese).

Tre giorni a Siracusa, solo tre (e all’improvviso come mi sei scoppiato dentro al cuore all’), lo stesso improvviso che mi ha impedito di fare un passaggio radente ad ovest (e mi dispiacque assai). Le tragedie spesso le faccio (oppure i capricci) altrimenti le guardo al teatro greco di Siracusa.

Le Troiane ed Ecuba.
Immaginatevi un po’ di giallo dei limoni, un po’ di blu mare sotto la pioggia e un po’ di blu mare sotto il sole. Il sole non prendetelo giallo, che ci sono già i limoni (e non mi pensate Montale, che è di un’altra regione), il sole fatelo che riflette la terra lavica, così brucia anche di più. Verde non troppo, che poi uno si immagina un paesaggio florido, invece è fertile ma difficile (come una donna di trenta anni), un verde alloro. E il rosso lo voglio dell’interno dei ricci, sparsi come le trecce morbide sulle caserecce. E un po’ di rosso anche dal nero d’avola,

Rosso d’avola, tanto per fare rima con me, e tanto perché, come ha detto quel cameriere di Acireale (“che l’ha detto il dottore che col pesce il vino bianco deve essere? Bevete quello che volete”). Lo stesso baffone che quando il latifondista proprietario del ristorante non mi ha dato il tavolo davanti al mare perchè la terrazza è ancora umida che ha piovuto, lo stesso cameriere baffone che quando gli ho detto che il mare mi manca e che avrei voluto averlo davanti solo un po’, mi ha detto che lui ce l’ha lì, ma non è che se lo può mangiare, e che il mare uno lo può amare solo quando in tasca ha un po’ di soldi sennò, e quante cose ci sarebbero da dire allora, quanti Malavoglia che ti vengono in mente nelle Acicittà (Acireale, Acicastello, Acitrezza) e la Provvidenza e i lupini e quanti pensieri e quante cose che andavano fatte, e questa oscillazione della Sicilia o dei Siciliani tra Rosso Malpelo e il Gattopardo e chissà.

Adesso basta perché ve lo avevo detto che i colori mi si stanno mescolando, sto flettendo verso turner e invece avrei voluto girare una litografia. Adesso basta perché il rosso mi sta diventando bordò che è un’altra regione e un altro vino.

Riprendiamo un po’ di rosso, dal sugo della caponata. O, se proprio vogliamo essere morbidi, dalla granita di gelso. L’arancione basta quello del tramonto che è un tramare. Colori pastelli si sa, non ne abbiamo ancora.

E in questo mosaico, vada per mosaico, metteteci queste donne tragiche. Mentre Troia brucia (e non si capisce perché troia si chiama troia, se poi l’ha presa male per colpa di una che troiana non era), mentre le scenografie (che non sono le sceneggiature, me lo devo ricordare) sono metafisiche e c’è solo la sabbia sul palcoscenico e un tronco e i caratteri sono vestiti da prima guerra mondiale coi cappottoni verdi e gli anfibi o giù di lì, e il coro è di donne ognuna con una valigia marrone (poi una apre la valigia, tira fuori un violino e lo suona in silenzio, cioè nel silenzio degli altri). Questa era Ecuba. Nelle troiane metteteci invece una sagoma di città con le sirene che lampeggiano in silenzio.

Ecco, tenete nell’emisfero sinistro tutti i colori.

Nell’emisfero destro guardate la scenografia.

E col terzo occhio leggete Cassandra che deve lasciare Apollo l’unico non uomo della sua vita per essere consegnata ad Agamennone, Cassandra che impazzisce o rinsavisce ogni minuto di più (“chi è saggio deve fuggire la guerra. Ma se è costretto a combattere, donerà alla patria una corona gloriosa con la sua bella morte, oppure infamia, con una morte vile. Per questo, madre, non devi compatire la tua terra, non devi piangere sul mio letto. Con le mie nozze rovinerò il peggior nemico, mio e tuo”).

E leggete la mia dolce Andromaca che sta per andare al figlio di chi le uccise Ettore, e che sta perdendo il bambino Astianatte (“si dice che una sola notte cancelli la repulsione della donna per il letto di un uomo: ma io detesto colei che dimentica il primo marito e in un nuovo letto ne ama un altro. Neppure una puledra, divisa dalla sua compagna, trascinerebbe facilmente il giogo: eppure è solo una bestia, priva di voce e di senno”).

Leggete Elena, che torna all’ovile e ci riprova ad entrare da regina. Perché “chi ama non può smettere di amare” (anche se, forse, “dipende dal cuore dell’amato”).

E pensate a Ecuba, che la vera tragedia la sente chi resta (non c’è ai stata nessuna donna infelice come te, “nessuna, tranne l’infelicità in persona”), che tutto ha perso e che trova la forza per una sola vendetta (contro Polimestore, che uccise Polidoro, il più giovane dei figli di Ecuba, proprio mentre lo stava ospitando) e che ci riesce, fiduciosa nelle donne dopo tutto (“Agamennone: “me lo immagino, delle donne che hanno la meglio sugli uomini…”; E.: Il numero e l’inganno sono brutti avversari”; A.: “è vero, ma non ho molta fiducia nelle donne”; A.: Perché, non furono le donne a uccidere i figli d’Egitto? Le donne svuotare Lemno di ogni maschio…”).

A questo punto, mi sto de chirichizzando in una piazza di italia, e forse mi serve una tela nuova.

Volver… sempre si vuelve al primero limon.

c.

dlin dlon. comunicazione di servizio.

scappo, per tre giorni.

mi mancherò.

il salvagente è sotto la vostra poltrona.

in caso di necessità, le maschere di ossigeno si renderanno automaticamente disponibili.

(indossatele e respirate normalmente.)

vi lascio questo maniglione antipanico.

fatene cattivo uso.

c.

La posta del Cuore (2)

Cara Chiara,

ho una storia non semplice, come il non libro di sciascia leonardo.

(…………………………)

[tra quelle parentesi tonde sta una storia complessa inzuppata di intrecci incestuosi poligamici bipolari e coalizioni pronte a tutto tranne che alla serenità, immaggggginassela il lettore come più gli piace. io devo tutelare la praivasi dei miei clienti].

{tra quelle parentesi quadre sta la spiegazione alla parentesi tonda. non ci sono altre parentesi. chi controlla i controllori e chi si intromette in un’intromissione?}

Che faccio?

Ti seguo come un setter,

gemellina 80.

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Cara gemellina 80,

ho già detto che cara chiara non va bene perchè è cacofonico. evidentemente sei un setter raffreddato e non mi segui poi così bene. puoi optare per “divina chiara”, o per cara qualcosaltro (come cara giulia, cara alice, cara emma, tanto lo sai che ho gli sdoppiamenti di personalità con principio di schizzzofrenia)

ho già detto anche che preferibilmente uno deve dotarsi di soprannomi graziosi forieri di immagini sensuali e di profumi muschiati. fa un pò tu.

ad ogni modo, nella mia infinita bontà, ho la soluzione.

MENTI

trasformati in un after eight, se necessario, o in un dentifricio, o in una granita.

ricordati quello che hai detto e nega pure l’evidenza.

anzi, costruisciti un mondo parallelo nel quale tutto fila e si confonde come un formaggio allegro con brie, secondo i tuoi desiderata.

del resto la bugia come alternativa interpretazione della realtà si chiama come la bugia che regge la candela, la quale a sua volta illumina la realtà stessa medesima itself.
il che ci conferma quanto è breve il sentiero che dal finto in amor conduce al vero (lo diceva alfieri, forse. infatti l’alfiere va in diagonale).

e poi, essendo tu gemella, hai una naturale propensione alle bugie.

pensa a twain mark (quello del tè twAining?): una delle principali differenze tra un gatto e una bugia è che un gatto ha soltanto nove vite (da: Wilson lo Zuccone).


E, soprattutto, ricorda il grande ChiAforisma:

Le bugie,

si possono usare.

L’importante è che ci sia una persona una, alla quale dici la verità sulla cosa.


Con affetto reciproco (cioè che il bene che ti voglio me lo riprendo)

Giulia.

s-profondissima quiete

datemi un pomeriggio pieno di dieresi

per potere dire mi piacie anziché mi piace.

mi piacie sentirmi dire che mi piacie:

essere uscita con i pantaloni colle tasche che mi stanno larghi e caduti (mi stanno come d’autunno sugli alberi le foglie, del resto sono verdi, scoloriti ma verdi) e la camicIA bianca

mi piacie pensare ai miei pIEdi con i sandalini

mi piacie fare finta che questa stagIOne durerà per sempre

mi piacie questa puzza di sole che c’è nell’aria (l’aria è naturalmente dieretica, invecIE l’acqua è naturalmentte diuretica, che storia elementare di elementi, uotson)

mi piacie sentire una farfalla solitaria alla campagna che mi svolazza nello stomaco, per un motivo oppure no, insensibile all’autan,

mi piacie il mio ciddì di emmepppitre che sta in macchina e che si chiama varie ed eventuali, e che sventola le canzoni che mi piacie ascoltare quando guido

mi piacie che una donna può obbligare un uomo “a dirmi sei bellissimaaaaa – a” in così tanti modi

(questo perchè il signor random prima ha deciso che circumnavigando piazzale donatello avrei dovuto sentire una canzone sola di bertè loredana)

[già che ci sono mi piacie anche questa sensazione di chiaradonna]

mi piacie quando mi piacie qualcosa senza pensare a “crea un elenco delle cose che mi piacciono”.


mi piacie che adesso vado a una riunione di “lavoro” in un giardino. e poi vado a ritirare un vestito che mi piacIeva che mi stava largo ma che ho comprato lo stesso che mi sono fatta stringere da una micro sartina, poi vado alla feltrinelli, e poi a comprare il rimmel nuovo, sempre che la riunione non duri per sempre – questo ultimo periodo mi rendo conto alla rovescia che è un pò troppo intimistico e inutile per il lettore medio, ma – vedi sotto – ho la tastiera dalla parte del manico e poi oggi sono leggera come una particella di elio. forse non lo faccio più però).

mi piacie il cielo che è sempre più blu

(puffi o non puffi, arriveremo a roma).

federer

fumando la mia sigaretta post prandiale (anche se in realtà non ho avuto tempo di pappa),

ho appena avuto il seguente scambio di battute, che ricordo e incollo,

a memoria dei posters, degli affreschi, e soprattutto mia:

io: “ma perchè mi circondo di gente logorroica?”

altro: “è il contrappasso”.

io: “ah”.

altro: “in teoria ti avrebbero dovuto circondare di gente logorroica post mortem, quando ci saranno gli scritti in tuo onore,

ma è che sei talmente NEFASTA che a te il contrappasso lo hanno anticipato in vita”.


6-0, 6-0, 6-0.

la bella estate mangiando pavesini

sta arrivando e noi non abbiamo PIU’ bisogno di trucchi (puntini puntini)

[propriamente non abbiamo bisogno di fondotinta (cfr. da qualche parte su questo blog)]

“A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era cosí bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, e magari venisse giorno all’improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare camminare fino ai prati e fin dietro le colline. – Siete sane, siete giovani, – dicevano, – siete ragazze, non avete pensieri, si capisce-.

Eppure una di loro, quella Tina che era uscita zoppa dall’ospedale e in casa non aveva da mangiare, anche lei rideva per niente, e una sera, trottando dietro gli altri, SI ERA FERMATA E SI ERA MESSA A PIANGERE PERCHE’ DORMIRE ERA UNA STUPIDAGGINE E RUBAVA TEMPO ALL’ALLEGRIA “.

(c.p.)

SEI SEI del SEI

6.6.6.

fino a ieri pensavo che oggi proprio oggi mi sarei sposata.

un pò per astromotivi, anche se plutone non mi dura un giorno (eppure parigi val bene una messa),

un pò per il numero,

perchè lo avrei ricordato anche se non è dispari,

perchè è tondo,

perchè è mefistotelico, lo so, ma avrebbe avuto la forza del fuoco.

e quella cosa un pò alla andreadecarlo, che mi vergongo ma l’ho letto quando ero (più) piccola,

(arcodamore —— archiaudaci, del resto)

quella cosa dell’amore come una parabola che sale sale sale e quando arriva a un punto che ti scoppia il cuore da quanto è forte,

a quel punto comincia a scendere e a rovinare tutto, o, comunque, ad appiattirlo nella dolcezza della noia e delle abitudini.

io quella cosa della parabola non la capisco.

perchè avrei voluto una linea retta, di quelle y=ax,

che mi passa dall’origine di chiara,

e che sale sale sale sale sale sale

magari fa dei minuscoli picchi all’indietro, tipo un elettrocardioqualcosa di qualcuno che però ce la fa,

ma di un centimetro al massimo

e ricomincia a salire.

che la noia la usa solo per fare la pizza alta quando fuori piove,

che le abitudini le usa solo per distendere il lenzuolo di sotto, perchè con le pieghe si dorme male.

che i problemi li scioglie nel vino oppure in altri fluidi.

sale sale sale con lo zucchero,

e interseca i pentagrammi di tutte le canzoni d’amore preferite:

che passa per i “ti proteggerò”

per “le ansie di perdersi e la certezza di aversi”

per gli “accappatoi azzurri” .


la mia retta ingenua come a dieci anni,

semplice come l’acqua,

determinata come una freccia,

e poi

incredibile come l’anarchia,

impossibile come l’autarchia

che ci prova, però, a bastare a se stessa.

perchè se l’amore non basta

allora non basta niente.


c.

poesia cogitabonda (un pò)

BEATE

le pietre.

serene.


c.

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