è stata bagnata, l’estate. senza giochi di parole sull’estate che sta, che sta stando, sui cartelloni.
non solo di mare e di vino e di benzina, che i chiMoletri sono stati tanti.
i fluidi forse sono tutti essenziali, ma alcuni sono irrimediabili e davvero troppo salati.
non posso permettermi di fare l’autobloggrafica hic et nunc:
da sola rischio di perdere il grande batuffolo di bambagia che mi ha insegnato ad addolcire la tristezza,
e del quale sono davvero davvero grata. soprattutto a tre persone, e cominciano tutte per g.
mi diluisco allora nella scoperta romanzesca dell’agosto del sei.

per la quale ringrazio il volatore, che portandomi a cena in un posto chiamato Disìo, me ne ha parlato
sicuro che non lo stessi ascoltando. infatti non lo stavo ascoltando.
solo che quando nell’unica libbreria di marsala (e coll’occasione, ringrazio il libbraro, che tanta parte ha avuto in tante cose),
dove i libri stanno ammucchiati senza ordine apparente come in un
racconto di nin anais, un libro, quel libro, mi è caduto sul piede, mi sono ricordata, una sovvenienza leopardiana,
dell’indicazione preziosa. – del resto il volatore è solito gettare cose nel mio orticello sperando che prima o poi
si allarghi: basta un acquazzone caldo, un melllone che esplode, una ragione che la ragione non conosce.
giustappunto, grasso silvana, disìo, rizzoli duemilacinque.
non sono abbastanza per parlare di lei, di disìò (che nell’elenco di libri letti nel sei nel mio diario segreto ha preso ben nove decimi),
delle altre due cose sue di lei che ho letto (il bastardo di mautàna, voto otto; ninna nanna del lupo, voto sette).
sono abbastanza per ricopincollare questa paginetta,
che chi ha occhi per intendere intendesse, chi ha voglia di leggerlo leggesse.
(disìo è siciliano. tradurlo con desiderio, voglia, bramosia è davvero poco.
come dire che un riccio è un echinoderma).
"Cosa andavo a fare in Sicilia? Non avevo una risposta, non c’era una risposta,
non nel senso comune d’una ragionata esposizione di motivi ed obiettivi.
Era stato un fatto di viscere, un terremoto di sangue che pazziava nel mio corpo,
un purtùso nella bocca dell’anima, una lama che mi tagliava in due,
da una parte il tronco, dall’altra il bacino e le gambe
come nei giochi degli illusionisti che estasiano il pubblico in una fiera di paese e lo fanno restare a boccaperta.
Ma non era fiera di giocolieri, per quanto non ci fosse una sola stizza di sangue,
per quanto non fossi stramazzata a terra,
sulle basole di pietra nera di fronte alla stazione, aspettando il regionale delle 8.10 per Catania.
Perchè tornavo in Sicilia?
Una vocazione forse, ma più una perdizione più una maledizione.
Un fossile mitologico, un mostro, che resuscitava a nuova vita, uno spasimo dell’anima, o un’epilessia della ragione.
Cos’altro? Mi risucchiava, nonostante la mia armatura, lo scirocco della mezzacosta, nel suo immobile vortice d’aria,
lo stesso scirocco che da millenni risucchiava inermi naviganti, ignari del fato di morte,
e li anniàva per l’onde frustrate di Scilla e Cariddi".
Ps. ho tante cose da raccontare.
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