Archivi giornalieri: domenica, 12 novembre, 2006

la sicurezza degli oggetti.

a me piacciono le case e vuote e di bianco e di ghiaccio e di alluminio.
a me piacciono le persone che sono talmente sicure da non avere paura del vuoto.
io vorrei, non vorrei,
ma tanto non sono così.

io sono piena di cose.
non è nessuna idea che la vita sia una collezione di ricordi e le cose sono i ricordi, e quindi la vita.
non è appiccicaticcitudine al passato.
io sono sempre qua, e preferibilmente là.

ma è più forte di me.
di circondarmi di cose che mi assomigliano.
di non lasciare spazi vuoti alle pareti.
di nascondere i ripiani agli scaffali.
di creare un micromondo sotto il letto. sotto il tavolo. di fare soprattutto sottosopra.
di fare scatole e scatole e scatole.
scatole di baci.
scatole di fidanzati.
scatole di foto.
scatole di quello che voglio vedere.
scatole che non voglio vedere più.
scatole di biglietti. di andate. di ritorni. ricevuti oppure non spediti.
scatole di libri.
scatole di quadri e poster e cose che pendono.
scatole di pupazzi di pezza.
scatole di pezzi di viaggi.
scatole di pezzi delle cose cominciate e non finite.
scatole di questa nuova cosa che mi piace da impazzire e tra una settimana non mi piacerà più,
ma intanto abbiamo tutto quello che serve per farlo.
(scatoli di colori. di pastelli. di astucci).

finchè la mia casa diventa una scatola grandissima.
e io posso.

fare tana.

contro la paura del vuoto.
del silenzio.
della solitudine.
del bianco dell’alluminio del minimalismo.

fare tana.
aspettare che qualcuno chiuda la mia scatola con lo scotch.

poi aprire la scatola delle forbici.
fare un buco nel coperchio.
e ricominciare a scappare.

*****
Sottofondo di questi pensieri:
A.M. Homes, “La sicurezza degli oggetti”, Minimum Fax, 2001.
Ascoltate questo pezzo.

“Esco con Barbie. Tre pomeriggi a settimana, mentre mia sorella è a lezione di danza, porto via Barbie da Ken. Mi esercito per il futuro.
All’inizio ero seduto in camera di mia sorella e guardavo barbie, che viveva con Ken posata su un centrino sopra il ripiano del comò.
La stavo guardando senza guardarla veramente. La stavo guardando e a un tratto mi accorsi che mi stava fissando.

Era seduta accanto a Ken, che strusciava distrattamente la coscia, coperta dal pantalone beige, contro la gamba nuda di lei. Lui si stava strusciando, ma lei guardava me.
“Ciao”, disse.
“Ciao”, dissi io.
“Mi chiamo Brabie”, disse lei, e Ken smise di strusciarsi contro la sua gamba.
“Lo so”.
“Tu si il fratello di Jenny”.
Annuì.
….
“Senti”, dissi, “ti andrebbe di uscire un pò? Prendiamo una boccata d’aria fresca. magari ci facciamo due passi in in giardino”.
“Volentieri”, disse lei.
La presi per i piedi. Suona strano ma ero troppo impietrito per prenderla per la vita. La afferrai per le caviglie e me la portai via come un lecca lecca.
…..

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