C’è stato un tempo in cui di anno in anno, di agenda in agenda, di stazione in stazione (come direbbero quei due) ricopiavo i pensieri che volevo portarmi dietro per un altro anno (un’altra agenda, un’altra stazione).
Ne avevo uno, di Pavese (l’inventore dei famosi biscotti): l’unica gioia é cominciare (qualcosa del genere). Stava molto bene il primo gennaio e stava molto bene con me, che passo dai facili entusiasmi agli improvvisi avvilimenti (come diceva lei): per le persone, le cose, i passatempi, i libri, le verdure e andando vedendo lettera testamento bim bum bam.
Ma non vi voglio parlare dei corsi iniziati e mai finiti (credo di avere fatto due mesi di flamenco una volta. nel frattempo avevo comprato gran parte della discografia di paco de lucia). Nè della mia collezione di “INTRODUZIONI A” (all’arte del bonsai, alla cura del coniglio nano, ai tarocchi….). Neanche della mia recente passione per le cavolfioracee e le broccolacee che fanno tanto tanto bene e che declino nelle loro cinquanta sfumature di abbinamenti (per esempio cavolfiore al curry? non c’è gara neanche con il più indiano dei polli).
Niente di tutto questo.
Solo che l’approssimarsi del duemilaquindici, che mi sembra un numero bellissimo, mi entusiasma, mi riempie i polmoni, mi sembra un regalo meraviglioso, una nuova mano di poker avendo a disposizione un vassoio di fiches.
Sappiamo tutti che il tre gennaio sarò triste.
Ma intanto mi godo l’attesa e la speranza.
E formulo propositi (sperando che non condividano la sorte dei buoni consigli di boccadirosa).
Ne ho tantissimi.
Ne metto quattro nero su bianco. I più egoisti.
1. Come dice la mia infatuazione parigina numero due (C. De Maigret) essere sempre fuckable: quando sei in fila in pasticceria la domenica mattina, quando vai a comprare champagne di notte, perfino quando prendi i bambini a scuola.
E siccome ho due bimbi e siccome spesso il mio lavoro lo faccio a casa, chiusa nei mio studio a scrivere, prometto che non resterò in pigiama oltre un tempo ragionevole dopo la colazione (nè sostituirò il pigiama con la tuta blu). E questo nonostante la mattina (quando dormo) sono fighissima e nonostante la mia tuta blu abbia il suo perché.
Non c’è secondo fine. Il fine sono io.
La qual cosa ha una serie di postille e corollari.
Tipo razionalizzare l’armadio, eliminare il brutto e l’inutile, non mettere la stessa cosa due volte di seguito.
O anche struccarsi la sera sempre e, già che ci siamo, mettere la crema nelle mani (e forse anche nei piedi).
2. Strettamente collegato al punto numero uno.
Trattare il corpo come macchina. No, non è una buona metafora, almeno per me. Che non lavo la macchina mai e non aggiungo l’acqua nel serbatoio dei tergicristalli.
Trattare il corpo come un diamante, piuttosto.
Continuare a correre.
Andare avanti nel progetto: non mangerò più animali che siano stati partoriti con dolore.
Ricordarsi comunque che non è che devo prendere la patente di vegetariana e che quindi faccio un poco come mi pare, senza dovere necessariamente rispondere a chi mi interroga sul mio rapporto passato presente e futuro con il pesce con le uova con il latte. E che ci può anche essere un rapporto occasionale fedifrago e incoerente con il pata negra.
3. Essere stronza.
Lo so che é Natale e bisogna essere più buoni.
E so anche di non essere particolarmente buona, per cui forse potrei anche non avere bisogno di questo proposito.
E invece si.
Voglio essere stronza con gli stronzi.
Magari non alla prima, che ci metto la buona fede.
Non alla seconda, che posso anche trovare giustificazioni psicologiche, compresa l’insicurezza (e al limite pure la stupidità).
Ma alla terza cattiveria risponderò, che si sappia.
Tenere i sassolini nelle scarpe troppo a lungo fa venire i calli. E io ho anche promesso di usare la crema nei piedi (vedi punto uno).
Nota: il calcolo delle tre volte avverrà retroattivamente, i.e. tenendo conto delle soverchierie archiviate nella mia ram emotiva.
4. Essere riconoscente e felice.
Di tutto quello che ho, che è tutto quello che desideravo
(ho qualche lieve aggiustamento da fare, ma poche cose nella mia dinamica del tutto).
Innaffiare le mie rose: avere cura delle persone che amo e dello stesso amore. Proteggerli (anche dagli stronzi, e dagli stronzi che mi rendono stronza, e quindi anche dai miei cambi di umore, per quanto possibile).
Respirare, ridere e farla semplice.
E non lasciare che le cose sciocche rovinino tutto, che mi facciano perdere tempo, che non mi facciano godere di.
Non sottovalutare le conseguenze dell’amore.
E neanche le conseguenze dell’umore.
E mi fermo, che ho paura di ritrovarmi come il giovane holden che guarda l’attimo fuggente tenendo siddharta sottobraccio.
(Proposito numero cinque: non perdere tempo con le cose che non mi piacciono, anche quando a molti piacciono. Che la vita è breve).
Tanti cari auguri.
Che ci sia magia.
Che ci sia meraviglia.
E, possibilmente, champagne a fiumi.