confesso.
vorrei essere essenziale e minimalista. questo mi renderebbe più semplice. più facile. possibilmente anche meno rompicoglioni.
mi piacciono le donne che vestono rigorosamente di nero o di bianco o di cosiddetti colori soft. ma se indosso un tubino nero, faccio la coda e metto pure le ballerine, poi non resisto e aggiungo una collana a fiori.
mi piacciono le case con molto bianco e molto spazio. ma adoro vedere i bambini che si arrampicano su quelle vecchie poltrone di quando io ero piccola, appiccicherei foto e disegni ovunque e (già che ci sono) avrei anche due archi che mi piacerebbe dipingere di giallo (e ci scriverei anche “let sun shine in”).
metto in ordine il mio armadio, ma non riesco proprio a buttare la maglietta di quel concerto, il maglione viola (sic) che avevo la prima volta che ci siamo baciati, la gonna plissé lunga di seta e celeste che non ho mai messo.
mi piacciono anche le tavole sobrie. eppure se sono da fouchon vorrei comprare due tazze bianche e fucsia. se sono da starbucks due tazze bianche e verdi. e lascio perdere cosa mi succede prima di Natale.
anche questo blog. tento di adottare un layout abbastanza bianco. poi cedo e passo al colore. e sono anche tentata di adottare un certo tema con dei palloncini che si muovono.
tutto questo è lo specchio di qualcosa?
ho forse un animo massimalista? (non è che divento socialista alla maniera degli anni ottanta?)
sono disordinata dentro? sono insicura? ho l’horror vacui? ho paura della solitudine? dell’abbandono?
forse si, lo dirà lo strizzacervelli un giorno.
per il momento, posso ammettere che sono un’accumulatrice seriale di emozioni.
ho cinquanta sfumature di amore.
che le sfumature oggi vanno anche di moda.
il numero uno è quando sono arrabbiata e tu non capisci perché, e questo mi fa arrabbiare ancora di più. ma se non ti amassi non mi arrabbierei. questo prova troppo ma è la verità.
il numero cinquanta è troppo facile da descrivere.
nel mezzo c’è la vita.
ci siamo noi che cresciamo.
ci siamo non che non cresciamo.
c’è anche la voglia di mollare gli ormeggi, non è che non si può dire. ma è sempre più forte il desiderio di tornare a casa.
c’è la promessa di cambiare me anche se non so bene da che parte cominciare.
c’è il desiderio di cambiare te, ma anche se non cambi va bene lo stesso.
c’è l’evoluzione delle nostre notti bianche. stare svegli per fare robbba. stare svegli per litigare. stare svegli per addormentare qualcuno. ipotizzare di stare svegli a fare robbba quando qualcuno dorme. e quando qualcuno si sveglia c’è il nuovo metodo contraccettivo: filius interruptus. ma non abbiamo poi troppo sonno per fare robbba?
c’è che quando eravamo meno stanchi, eravamo più splendidi e la mattina anche più languidi. ma ci sono i due splendori ora che fungono da copriocchiaie. (stavo per scrivere touch eclat, ma mi sono limitata: è un progresso?)
c’è il pacchetto completo dei nostri cromosomi. diversamente compatibili.
che stanno insieme come la metafora del calabrone che nessuno sa come fa a volare eppure vola.
e nessuno sa come facciamo stare insieme eppure lo sTiamo.
con la nostra ribellione alla statistica
– quella della canzone, che piace tanto.
perché è vero che ogni volta che una farfalla batte le ali,
qualcuno tradisce qualcuno, e ci sono almeno cinquanta sfumature di tradimento.
e allora ogni volta che due persone si compattano a tartaruga come nel rugby (che poi non so neanche come si gioca, quindi non so se la tartaruga c’entra qualcosa o no), questa si che è una bella ribellione alla statistica.
ho abusato con le metafore.
ho cambiato registro.
sono andata fuori tema.
il tema era il minimalismo.
perché in effetti forse tu staresti meglio con una donna minimalista e dal pensiero lineare.
e invece ti è toccata una pazza che non rinuncia alle poltrone con la mosca d’oro
e che ha il pensiero scomposto (ma sempre amorato).