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less is more (e l’amore?)

 

confesso.

vorrei essere essenziale e minimalista. questo mi renderebbe più semplice. più facile. possibilmente anche meno rompicoglioni.

mi piacciono le donne che vestono rigorosamente di nero o di bianco o di cosiddetti colori soft. ma se indosso un tubino nero, faccio la coda e metto pure le ballerine, poi non resisto e aggiungo una collana a fiori.

mi piacciono le case con molto bianco e molto spazio. ma adoro vedere i bambini che si arrampicano su quelle vecchie poltrone di quando io ero piccola, appiccicherei foto e disegni ovunque e (già che ci sono) avrei anche due archi che mi piacerebbe dipingere di giallo (e ci scriverei anche “let sun shine in”).

metto in ordine il mio armadio, ma non riesco proprio a buttare la maglietta di quel concerto, il maglione viola (sic) che avevo la prima volta che ci siamo baciati, la gonna plissé lunga di seta e celeste che non ho mai messo.

mi piacciono anche le tavole sobrie. eppure se sono da fouchon vorrei comprare due tazze bianche e fucsia. se sono da starbucks due tazze bianche e verdi. e lascio perdere cosa mi succede prima di Natale.

anche questo blog. tento di adottare un layout abbastanza bianco. poi cedo e passo al colore. e sono anche tentata di adottare un certo tema con dei palloncini che si muovono.

tutto questo è lo specchio di qualcosa?
ho forse un animo massimalista? (non è che divento socialista alla maniera degli anni ottanta?)
sono disordinata dentro? sono insicura? ho l’horror vacui? ho paura della solitudine? dell’abbandono?
forse si, lo dirà lo strizzacervelli un giorno.

per il momento, posso ammettere che sono un’accumulatrice seriale di emozioni.

ho cinquanta sfumature di amore.
che le sfumature oggi vanno anche di moda.
il numero uno è quando sono arrabbiata e tu non capisci perché, e questo mi fa arrabbiare ancora di più. ma se non ti amassi non mi arrabbierei. questo prova troppo ma è la verità.
il numero cinquanta è troppo facile da descrivere.
nel mezzo c’è la vita.
ci siamo noi che cresciamo.
ci siamo non che non cresciamo.
c’è anche la voglia di mollare gli ormeggi, non è che non si può dire. ma è sempre più forte il desiderio di tornare a casa.
c’è la promessa di cambiare me anche se non so bene da che parte cominciare.
c’è il desiderio di cambiare te, ma anche se non cambi va bene lo stesso.
c’è l’evoluzione delle nostre notti bianche. stare svegli per fare robbba. stare svegli per litigare. stare svegli per addormentare qualcuno. ipotizzare di stare svegli a fare robbba quando qualcuno dorme. e quando qualcuno si sveglia c’è il nuovo metodo contraccettivo: filius interruptus. ma non abbiamo poi troppo sonno per fare robbba?
c’è che quando eravamo meno stanchi, eravamo più splendidi e la mattina anche più languidi. ma ci sono i due splendori ora che fungono da copriocchiaie. (stavo per scrivere touch eclat, ma mi sono limitata: è un progresso?)
c’è il pacchetto completo dei nostri cromosomi. diversamente compatibili.
che stanno insieme come la metafora del calabrone che nessuno sa come fa a volare eppure vola.
e nessuno sa come facciamo stare insieme eppure lo sTiamo.
con la nostra ribellione alla statistica
– quella della canzone, che piace tanto.
perché è vero che ogni volta che una farfalla batte le ali,
qualcuno tradisce qualcuno, e ci sono almeno cinquanta sfumature di tradimento.
e allora ogni volta che due persone si compattano a tartaruga come nel rugby (che poi non so neanche come si gioca, quindi non so se la tartaruga c’entra qualcosa o no), questa si che è una bella ribellione alla statistica.

ho abusato con le metafore.
ho cambiato registro.
sono andata fuori tema.
il tema era il minimalismo.
perché in effetti forse tu staresti meglio con una donna minimalista e dal pensiero lineare.
e invece ti è toccata una pazza che non rinuncia alle poltrone con la mosca d’oro
e che ha il pensiero scomposto (ma sempre amorato).

mamma 2.0.

image

c’è una parola che resiste a tutto.
perché l’amore può anche trasformarsi,
l’amicizia è questione di fortuna,
neanche il sesso basta,
e pure il lavoro più bello é un gioco al rialzo.

ma c’è una parola che sta sveglia la notte e il giorno,
più dolce del latte, più calda del sangue,
che è felice, e se non è felice va avanti lo stesso.
che è istinto ed evoluzione,
ragione e sentimento,
cuore e pancia e anche testa.

che risponde sempre,
che rinuncia a volte,
che sposta i confini
che comunque ci prova,
che cresce anche lei.

aspetto un altro bambino.
si dice che siano le madri a dare la vita, ma in verità é proprio il contrario.
sono felice? si
sono un poco sgomenta? si
so che é normale, e che esiste un mondo di emozioni che non ho cercato, ma che voglio più di ogni altra cosa.

Inviato da iPhone

Disegno di legge: introduzione dell’articolo 3 bis della Costituzione.

lempicka

 

Articolo 3 bis della Costituzione.

 

1. Ogni donna ha il diritto assoluto, personalissimo e inviolabile di cambiare umore.

2. Tale diritto può essere esercitato in qualsiasi momento e senza necessita’ che venga enunciato un giustificato motivo o una giusta causa.

3. In via meramente esemplificativa, il diritto di cambiare umore può essere esercitato:
quando cambia la luna;
quando non cambia la luna;
quando cambia il meteo;
quando non cambia il meteo;
quando qualcuno (specie di sesso maschile) proprio non capisce;
quando qualcuno (specie di sesso maschile) fa finta di non capire;
quando qualcuno (specie di sesso maschile), pur capendo, non modifica il suo comportamento in modo ragionevole e adeguato alle circostanze.

4. Costituiscono estrinsecazioni del diritto di cambiare umore, tra le altre:
il diritto di cambiare vestito più di una volta al giorno;
il diritto di modificare lo stile del trucco e degli abiti indossati, anche in modo schizofrenico;
il diritto allo shopping;
il diritto di trovare consolazione nella cioccolata, nel cibo, nelle bevande alcooliche e non;
il diritto di cambiare programma e idea nell’ultimo istante utile;
il diritto di piangere per motivi futili;
il diritto di ridere per motivi futili;
il diritto di fare la civetta;
il diritto di rispondere male o di non rispondere per niente.
La suddetta elencazione non e’ in alcun modo considerabile tassativa.

5. Il diritto di cambiare umore può essere limitato, nei casi previsti dalla legge, previo provvedimento motivato dell’autorita’ giudiziaria.
In nessun modo il suddetto diritto può essere limitato, censurato, compresso o inibito -in maniera implicita o esplicita- da soggetti di sesso maschile, in particolare se legati alla donna da una relazione di qualsiasi tipo (familiare, affettiva o professionale).

duchamp, l’attesa del bagno come oggetto del desiderio.

sabato notte, due e trenta (o l’una e trenta, stupida ora solare).

“Signorina, posso chiederLe il Suo numero di telefono?”

“Mi dispiace, sono impegnata”

“Non importa, anche i bagni sono occupati,
però prima o poi si liberano”.

senza perdere lo smalto.

l’estate sta finendo
oppure
l’estate ha cambiato idea
oppure
aspetto l’estate.
intanto piove.

in spite of that, i miei due piedi ormai sono nel mood sandalini.
quando ero piccola, fase A, al mare mi piacevano le donne con lo smalto rosso nelle (o sulle) dita dei piedi: erano piedi allegri.
quando ero meno piccola, fase B, lo smalto rosso mi sembrava di pessimo gusto (oppure roba da elefanti che si nascondono dietro un cespuglio di fragole).
quando ero ancora meno piccola, fase C, questo pomeriggio, mi sembra impossibile non mettere lo smalto rosso, nelle (o sulle) dita dei piedi.
non rosso scuro, marrone, bordeaux o, per cortesia, viola o malva.
solamente rosso, anzi, per dover di cronaca, RUSSIAN RED.

ho sentito di un posto, in asia, dove la caduta dello smalto sulle unghie è una meditazione zen.
di un altro, in nord america, dove la deposizione dello smalto è usata come antidepressivo.
ovviamente me lo sono inventato.
ma funziona.

dieci diti (dita), ringraziando il good God (la mia mamma in effetti appena sono nata si è sincerata del numero esatto dei miei diti, mani e piedi),
dieci diti (dita), dieci piccoli pensieri.

ALLUCE SINISTRO
chissà perchè i diti (dita) dei piedi hanno nomi diversi rispetto a quelli delle mani.
alluce in particolare è un nome proprio brutto. è un nome grasso.
meglio allure (che fa rima con pedicur, peraltro).

SECONDO DITO SINISTRO
chissà perchè i diti (dita) dei piedi hanno nomi diversi.
posto che hanno nomi diversi dalle mani, per qualche mistero epistemologico o etimologico,
perchè (tranne l’alluRe) hanno dei numeri e non dei nomi?
quasi fossere galeotti. paura che scappino? e se non scappano loro, chi scappa di me?

TERZO DITO SINISTRO
smetto di pensare ai nomi dei diti (dita) dei piedi.
non ci riesco.
perchè non usare i nomi di dieci piccoli indiani?
dei dieci nani?
di dieci cocktail?
di dieci santi?
adesso che il mio terzo dito è dipinto di rosso, mi piacerebbe usarlo come un MEDIO e mandare qualcuno a quel paese (o somewhere, over the rainbow).

QUARTO DITO SINISTRO
non sopporto quelli che mettono gli anelli negli anulari dei piedi.
non sopporto gli uomini sposati che non mettono la fede perrchè gli dà fastidio.
non sopporto le donne sposate che mettono la fede a giorni alterni, quasi fossero targhe.

QUINTO DITO SINISTRO
la piccolezza del mio mignolo mi emoziona troppo.
mi sembra l’ultima ruota del mio ultimo carro.
eppure se non ci fossi tu, sarebbe tutto diverso.
scusa, per tutte le volte che hai sopportato le scarpe strette.

ALLURE DESTRO
il mio allure destro lo trovo veramente dispotico.
sono quasi sicura che se potesse, voterebbe a destra.
due passate di smalto rosso. e vediamo chi comanda.

SECONDO DITO DESTRO
Chi ha il secondo dito del piede sinistro più lungo dell’alluce, spesso è sofferente di cuore, vive in modo iperattivo, con emotività, ama vestire di colori scuri e nel cibo preferisce i sapori amari.
Non è il mio caso.
La lunghezza dei miei diti è armoniosa come una partitura di Bach.

TERZO DITO DESTRO
come ci si innamora? si cade, si inciampa o si vola?
come me ne accorgo? me accorgo perchè è un pensiero ricorrente e totalizzante.
quando sbuccio una pesca, quando mi allaccio le scarpe.
e io mi allaccio le scarpe continuamente, per la ragione che non le so allacciare e mi si slacciano continuamente. anche le ballerine.
i miei due piedi adorano le ballerine.
ma non si vede più lo smalto.

QUARTO DITO DESTRO
e come ci si disinnamora? si cade, si inciampa o si vola (via)?
come me ne accorgo? me ne accorgo perchè smette di essere un pensiero ricorrente e totalizzante?
è la cosa più terrorizzante dello spazio cosmo, comunque.
più dei ragni giganti dell’Askansas, la cui capitale è little rock.
ammesso che in arkansas ci siano ragni giganti.
e ammesso che il nostro è un momento punk, senza bestie.

QUINTO DITO DESTRO
il mio mignolo destro corrisponde ai miei spiriti infantili.
me l’ha detto il mio agopuntore riflessuologo di Hokkaidō.
non è vero.
me lo sento.
il mio mignolo destro vorrebbe vivere in un’isola felice. o almeno in un’isola emotiva.
non in mezzo al mare.
il mio mignolo destro crede che l’amore sia un’isola, e se non si sente naufrago soffre.
anche io.

per questo i miei diti dei piedi sono nel blu dipinto di rosso.
non ci resta, a noi undici, di aspettare che asciughi.
e volare, o-o.

ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi

Mi aggiusto,
ne ho viste cose che voi UomiNami non potete immaginare, neanche dall’alto dei vostri BastOni di Orione.
Non è che non ho mai visto l’amicizia tra uomini, e la canzone di Leali Fausto in realtà è un inno all’affetto di Patroclo per A-chi-lle.
Non è che non ho mai avuto amici uomini, almeno subito prima o subito dopo che si innamorassero di me (o io di loro – questo mi tocca scriverlo per non passare da).
Anzi, mediamente gli uomini li trovo più simpatici e anche intelligenti e anche attivi.
Mediamente.
L’eccezione al singolare è femminile.
E l’amicizia finisce per A.
(l’amore per E, infatti nessuno capisce mai niente).
Comunque, io sono intellettualmente deduttiva ed emotivamente induttiva.
Per questo ho visto cose, con le mie amiche, con la mia Amica.

E non sono solo le storie.
Le storie di complicità, le storie da ridere fino a piangere, e le storie da piangere fino a piangere,
finchè le lacrime finiscono e il rimmel è scivolato.
Sono le piccole cose che neanche Gozzano poteva capire.

Le piccole cose dello scorso uicchend, ad esempio.
Terrorizzarsi per entrare in autostrada.
Cantare in macchina.
Camminare fumare e chiacchierare alla fine della festa, dondolarsi sull’altalena e fumare e chiacchierare dopo avere camminato, e bere camomilla e chiacchierare dopo avere dondolato, e struccarsi fare pipì lavarsi i denti e chiacchierare dopo avere calmomillato, e andare a letto e chiacchierare ancora un pò dopo avere chiacchierato.
Chiudersi nel camerino di Pucci Emilio con due magliette uguali e provarle della 38, della 40, della 42, della 44, schizofrenia da tette, restare chiuse per mezz’ora.
Compare due magliette uguali.
Convincersi che non è possibile anche comprare due borse.
Cercare le ballerine rosse.
Cercare le ballerine rosse.
Cercare le ballerine rosse.
Mangiare la macedonia con lo yogurt al bar per entrare meglio nelle magliette nuove, e poi rubare il cestino del pane per fare scarpetta.
Andare in bagno sapendo che ogni uomo pensa: ma perchè ci stanno andando insieme?
(E la risposta sta soffiando nel vento).
Continuare ad avere un piano a, e un piano b, e un piano c, e un piano d, e un piano e.
Continuare a fare piani pensando che si realizzeranno di sicuro.
Pensare al tempo che passa.
Fregarsene del tempo che passa.
(non lo vedo il tempo, sarà passato).
Convincersi davvero che ci sposeremo contemporaneamente, faremo due bambine contemporaneamente, che saranno migliori amiche
(se uno sarà maschio, vorrà dire che si fidanzeranno).
Continuare a darsi ragione, come due cretine.
Darsi anche un pò di torto, ma un torto ragionevole, come due cretine.

Ci sono i bastoni di Orione
e ci sono le porte di Tannhäuser.
A noi ci piace fare le porte.

A noi ci piace anche cadere per terra,
romperci,
fare i cocci,
pagarci,
rimanere nostre,
e rincollarci col miele.

blush

{settimana pesante oltre ogni forza di gravità, e piove}

a volte essere donna è davvero faticoso.
per fortuna basta passare in profumeria per cambiare idea.

{rieccomi}.

c.d.g.(2): palingenesi della lana e del uischi.

l’autunno ha lanciato il suo Aut Aut Unnico.
é tempo di fare le valigie.
non è per cattiveria, lo fa per me.
siccome non è proprio possibile partire,
anzichè andare in vacanza con una borsetta di vestiti portati da casa,
mi fa cambiare i vestiti restando a casa.
tutti i vestiti: l’armadio, di nuovo….
{posso autocitarmi??? lo vorrei fare in quei modi puliti puliti che resta solo una parolina, poi ci clicchi e giù la divina commedia… così, forse?

questa cosa che ho scritto è cliccabile? e porta dove spero? al c.d.g. 1?
provate QUI, comunque lo sciò mast go samuer, magari over the rainbow….}

e anche se mi fa un pò male da qualche parte
[senzazione groppo alla gola n. 17
nostalgia misto rimpianto versione serena però,
una cosa tipo succo d’arancia amara e cointreau]

e anche se mi fa un pò di dispiacere vedere i sandalini mesti mesti dentro le scatoline,
e i costumi che tornano in un cassetto che ancora continuano a litigare
su quale ha fatto più bagni (e con quale stavo meglio e mi abbronzavo di più, e…)

ed è ancora troppo presto per avere i ricordi dell’estate
[infatti stanno ancora rullati come marjuana nei rullini sul mio comodino,
sensazione pigrizia n. 24,
attesa autoprotettiva,
una cosa tipo camomilla corretta al limone corretto a due cucchiaini di zucchero]

anche se tutto questo e qualche altra cosa che non so
[sensazione confusione n. 7,5
da stanchezza mista freddino nelle tempie,
una cosa tipo un whisky oban invecchiato abbastanza da guidare il motorino]

il tempo
[lo stesso tempo che tutto cura,
sensazione zen n. 0,00000001
una cosa tipo una cosa che non so bene come si prova….]

il tempo lo fa per me.
cambio di pelle per avere la sensazione di muovermi stando ferma.
è un barbatrucco.

fa con me come quando si ruba per finta la pappa ai bambini per farli mangiare:
viene il primo freddo
viene voglia di lana e stivali
e viene voglia di cambiare stagione,
un pò
poco
poco
poco
ma sì.
viene voglia di andare avanti senza protestare.

ci si affeziona anche alle foglie che cadono, anche dopo che sono cadute.
ci si affezionerà alle pozze
e ai pochi gradi che resteranno.
ci sarà più gusto a fare una sun-dance, quando sarà.

e poi, sillo onesta.
ecco:
anche se il mio armadio sta esplodendo,
confido in un effetto big bang inverso (bang big? bingo bongo?)
si apre l’universo di possibilità
autunno inverno 2007.

c.d.g.

Ci sono cose che NON SOPPORTO.

Potrei dire le bugie, ma le bugie mi stanno simpatiche. Piuttosto l’iposensibilità. Potrei dire i tradimenti, ma piuttosto (ma piuttosto non si dice) deludere un amico.
Potrei usare la parola idiosincrasia, ma tengo una idiosincrasia per una parola idiota come l’idiosincrasia.

La banalità è in agguato, come L’iMPREVISTo. Ma l’imprevisto è più simpatico delle probabilità. (Monopoli è di destra. Ma perchè Risiko è di sinistra?) L’imprevisto aumenta l’ENTROPIA del sistema (la probabilità invece fa sudare, e aumenta l’entalpia, credo, ma non sono una fisica, anche se ho un certo fisico. E anche un fisico di ruolo).

Una cosa aumenta a dismisura l’entropia del mio sistema. E (stranamente, stranamente perché mi piace entropizzarmi) è una cosa che non sopporto.

Due punti a capo.

IL CAMBIO DI GUARDAROBA (di nuovo a capo perché il momento è solenne).

Non sono le rondini a fare primavera, ma il cambio di guardaroba.

Ineluttabile come un’emozione.

Ciclico come una bicicletta.

Periodico come una tavola.

Stagionale come una pizza.

Dovrebbero dare un giorno di aspettativa per il cambio di guardaroba (da adesso c.d.g.).

Ci sono quelle che, poverine, lo fanno tra camera e cantina, con un enorme dispendio di energia. Ci sono quelle, fortunelle, con un armadio a due piani, che lo fanno col bastone, sopra sotto sopra sotto, come nei più classici rapporti sessuali.

Io lo faccio da una stanza ad un’altra. Meno di cinque metri. Moderata fatica (ma non per questo sono democristiana). Nondimeno.

Vestiti che non mi ricordavo di avere.

Vestiti che non trovo.

Vestiti che non mi entrano, ma potrebbero rientrarmi. Del resto non è detto che io non ritorni alla taglia che avevo a dodici anni.

Vestiti che non metterò mai, ma che potrebbero tornare di moda.

Vestiti che non metterò mai, ma hanno un sacco di ricordi. (Come potrei buttare degli shorts blu e bianchi che ho comprato a Cannes nella gita della maturità?)

Troppi vestiti.

Non è colpa mia. È lo Sciopping Compulsivo (che però è sempre più lungimirante della nutella compulsiva. Anche se, un dolcetto al termine dello sciopping ci sta come il cacio sui maccheroni, se io non fossi allergica al formaggio).

È quando una mattina ti svegli e pensi che non ha senso vestirsi se non hai un paio di pantaloni VERDE ACIDO. È quando devi festeggiare e ti fai un regalo. O quando sei triste e ti fai un regalo. O quando ti fanno un regalo.

Maglioni di lana che emigrano. Gonne in tweed che scappano dalle grucce. E le sciarpe (ma perché ho tutte queste sciarpe?). Almeno i cappottini filano in lavanderia di default.

Ma la FASE DESTRUENS finisce, anche se puzza terribilmente di Naftalina (e io non sono Eta Beta: non sopporto la naftalina. E neanche i surrogati della naftalina che puzzano di finta lavanda. Potrei firmare un accordo colle TARME: un maglione l’anno e mi lasciano in pace l’armadio).

È la FASE COSTRUENS.

Non ci stanno tutti, nell’armadio principale. Spingono, urlano, si spiegazzano. Si buttano per terra cercando di sporcarsi con le mie nuvole di polvere per avere una chance di fuga nella via verso la lavatrice.

E poi non vogliono ordinarsi cromaticamente: il blu mi si confonde col nero, quando è notorio che “se vuoi essere un cafone metti il nero col marrone, se vuoi esserlo di più, metti il nero con il blu. (Non per nulla la maglietta dell’inter e gli interisti).

L’arancione non vuole stare accanto al rosso perché perde in aggressività. E li a spiegargli che il rosso è suo padre.

E poi non vogliono seguire un ordine logico. I pantaloni si mescolano alle gonne, i vestiti da spiaggia con quelli da aperitivo.

E quando tutto sembra finito. Ancora: il cambio delle borse. Il cambio dei pigiami. Il recupero dei costumi.

E poi.

Le scarpe.
È mai possibile che ho 33 paia di scarpe attuali? Dove attuali vuol dire che non ho contato le scarpe ogni tempo (tipo le decoltè, le ballerine, e le scarpe da ginnastica), e non ho contato le scarpe che non metterò di sicuro e che stanno in uno scatolone apposta).

Ma la cosa più incredibile è che

Non ho neanche un paio di SANDALINI VERDI.

L’abito non fa il monaco,

Ma io sono CHIARA.

Taglia e Cuci.

Ci sono Luoghi Comuni, come le piazze, le strade, i mercati.

E ci sono luoghi comuni sulle donne.

Uno di questi è che le donne quando succede Qualcosa, fanno Qualcosa ai capelli. In questo caso il luogo comune sulle donne diventa luogo comune alle donne: il Parrucchiere.

I parrucchieri sono soggetti misteriosi, con un Analfabetismo Di Ritorno fintissimo idoneo ad oscurare il loro irrefrenabile spirito di iniziativa creativa: per cui gli chiedi di farti un ciuffo morbido, e ti ritrovi con una frangetta che neanche san martino. Gli chiedi di spuntarti i capelli per toglierti le doppie punte, e non riesci più neanche a farti la coda, di cavallo (hi hi hiiiiiiiii). Gli chiedi un riflesso naturale e ti ritrovi più bionda di britnei spirs (appproposito, che pubblicità terribile, l’ho vista ieri sera al cinema all’era glaciale due. Ho pianto anche lì – per il cartone, non per la pubblicità -: possibile che se un cucciolo di mammut si perde io piango??? Ma questo è un altro capitolo).

L’analfabetismo di ritorno (che maschera da “non avevo capito” le loro intraprendenze) si accompagna nondimeno ad una incredibile Capacità Di Analisi In Andata: nel senso che quando io Ando dal parrucchiere, riesco a raccontargli tutta la mia vita (emotivo sentimentale, si intende, nessuno vuole parlare di diritto con me). Come nUoto ai più, io non sono un elemento particolarmente riservato (anche se dico un sacco di bugie, ma anche questo è un altro capitolo): per un misto di protagonismo ed infantilismo, racconto davvero tutto. Ma potrei raccontare davvero tutto, anche perché come diceva Uno, non bisogna avere paura delle parole (e delle parolacce?). Capote Truman in colazione da Tiffany sostiene (in un punto imprecisato al quale non ho fatto l’orecchietta di guisa che mi è impossibile rinvenirlo, a meno di non voler rileggerlo tutto, il che mi piacerebbe assai, specie la parte sulle paturnie, ma non è questo il momento), T.C. sostiene parlando di Holly (che caratterialmente mi assomiglia Proprio, e anche quanto a bon ton, e anche quanto a), insomma questo: che le persone estroverse pronte a parlare di sé reagiscono male alle domande dirette. E quindi? Quindi le domande dei parrucchieri su: “Sei fidanzata? Da quanto tempo? Sei felice? Cosa fate? Ecc. ecc. (salute)” mi danno noia. Questo non mi ha impedito, tuttavia, di raccontare le tappe e le tOppe più significative della mia vita.

Giovedì.

Quando, per l’appunto, sono andata dal parrucchiere. Che non ci vado mai, per i suesposti Attentati Alla Mia Privacy Ed Alla Mia Capigliatura. E perché in questo borgo non natio e non selvaggio non ho un parrucchiere. (vogliamo parlare dei parrucchieri in Sicilia? Di questa estate quando una tipa è venuta a tagliare i capelli a me e alla mia cugina preferita in campagna – a proposito, ciao cugina preferita!!! – e noi ci siamo fatte trovare con i capelli già lavati, zac taglio, e poi: non importa la piega tanto vado al mare ah ah ah, faccia della parrucchiera un po’ sgomenta, e comunque solo tre euri, incredibile. È un argomento interessante, ma non ne vogliamo parlare, adesso).

E Così Vado Random, come i miei emmeppitre su i-tunes, di stazione in stazione, di porta in porta, di parrucchiere in parrucchiere. Quando ho le ottave punte per colpa della piscina e del fon (pensi davvero che potrei scrivere phon?). E quando devo proprio.

Ma è stato divertente, questa volta. Dalle ore 13.30 alle ore 17.30. Mi hanno portato due caffè, due bicchieri di h2o. Per la verità avevo chiesto anche un prosecco, che ci stava bene, ma a quanto pare non è compreso, si sono un po’ stupiti. Si sono stupiti anche quando, dovendo aspettare Samantha (giuro che non me lo sono inventato, Samantha con l’acca, poi dici che uno non è predestinato, come sono cattiva, Bertinotti mi censurerà), Samantha con il suo riflessante tra venti minuti, sono uscita con i capelli nel turbante (conTurbante) a fumare una galuas e fare una piccola telefonata rassicurante, giusto per sentirmi dire che qualunque cosa fosse successa alla mi testa sarei stata comunque bella (comunque bella, come la canzone di battisti lucio che mi piace un sacco: “non ti chiedo perdono perché tu sei un uomo”).

Ho chiesto anche a Nicoletta la taglia testa se ero a rischio sansone: tu mi tagli i capelli e io perdo la forza (oscura): divento stupida e\o antipatica, ma lei non mi ha rassicurato, anci mi ha lanciato una tipica occhiata maseiscema.

Insomma (d’amore). Insomma poi dicono che L’astrologia È Una (Mozzarella) Di Bufala. E invece. Mi ha tagliato i capelli una tipa della vergine (grandi doti di precisione e devozione). Me li ha riflessati una tipa del sagittario (il fuoco è creatività e intraprendenza). Me li ha asciugati uno del leone (solito fuoco). Non so chi me li ha lavati perché non si può interrompere chi ti massaggia i capelli così bene che quasi quasi quasi mi addormento.

E quindi ora sono sempre lunghi, un po’ più scalati e con tenui riflessi cioccolato caldo, giusto giusto perché le punte sono ancora più chiare per la solita colpa dello iodio, e così diamo più uniformità (questa storia della uniformità, poi. E la famosa ricrescita? Dico io, è ovvio che se hai i capelli neri e ti fai le mescscscsc bionde, dopo un mese sembri una zebra o la maglietta di una squadra di calcio!!!! bisogna rispettare tendenzialmente i voleri e i colori che madre natura ci ha dato, adattandoli alle nostre forme, Perdindirindina)

Dimenticavo.

Cosa è successo perché io andassi dal parrucchiere?

Niente.

Ma qualcosa sta per succedere.

Del resto, come dice Una figa (che nel caso di specie sarei io, ma non posso certo scrivere: come dico io, figa):

Qualche Cosa Succede Sempre.

c.

Cose Nostre.

Scusami, mi girano le ovaie.

All’alba del terzo millennio, sincronizzata mensilmente con la luna crescente, sto soffrendo per la prosecuzione della specie.

È un dolore molto intimo e dolce che mi fa sentire donna. Palle. È un dolore fortissimo che mi spappola come un pomodoro nel frullatore. Bladi cler, scusate l’immagine Pulp fiction.

Aspetto che uno dei miei FANS faccia effetto. Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei (non i piccoli fans di sandra milo e neanche i Romei da serenate veronevoli).

Sia Lode all’ipubrofene.

E

Sia Lode a Clemente.

L’assorbente.

Interno

(come gli interna corporis acta del parlamento, insindacabile). Del resto, nessuna donna sana di mente scalerebbe alberi con un paio di pantaloni bianchi ed un assorbente esterno (anche se avesse le ali, clemente, non lei) al fine di recuperare un gatto o un palloncino. Nessuna donna sana di mente con lo stesso equipaggiamento farebbe paracadutismo. Il clemente, invece, questo sì che è l’invenzione del secolo: l’emancipazione dei movimenti e dei vestiti dai vincoli della fertilità.

Sono un ettaro di terra fertile e dolorante.

Devo cercare asilo in un romanzo verista.

Oppure, in tempi di elezioni.

Le donne colle dimostrazioni sono una forza politica.

Non dico di fondare un partito perché voglio stare qui. (anche se, in un paese dal pluripartitismo estremo che il proporzionale stimola, ci si potrebbe inserire tra gli automobilisti, gli innamorati, i pensionati, i nordisti, i sudati, chiategorie e griglie, chi più ne ha che se ne fa).

Non dico di fondare un movimento perché ho ancora male al pancio.

Inserire una postilla in un programma. Questo si.

Postilla articolata in tre punti.

a) per quattro giorni (liberamente distribuibili a partire da due giorni prima del R-Day, reddei)
i cambi di umore e i cambi di amore della donna sono coperti da una esimente impertinente, una scriminante tranchante. Il diritto a piangere ridere piangere arrabbiarsi e mettere il muso senza dare giustificazioni. E senza, per cortesia, che nessuno mi dica “hai le tue cose, ecco perché” con un tono volutamente discriminatorio. Potrebbe farsi ricorso ad un segnale convenzionale, ad esempio, potremmo portare un anello tiffany con un topazio. Ovviamente fornito dal servizio sanitario nazionale. Del resto ho letto che il topazio attenua i dolori addominali.

b) Possibilità per tre giorni al mese di lavorare da casa in pigiama. (lo so che voi direte che io lavoro sovente da casa in pigiama, ma parlo per l’umanità tutta, anzi la donnanità tutta).

c) Istituzione di un CADòI: Comitato Assistenza Donna Indisposta. Incaricato di portare un mazzolino di fiori di campo e di fornire Fans e Clementi in caso di necessità. E al quale ci si può rivolgere nel caso di infrazione dei punti a) e b).

d) Incentivi (avevo detto tre punti? Che fate, mi controllate la vena creativo impegnata?) per chi ricopre la donna con una CoCoCa: Coltre di Coccole Calde. Si può pensare ad un sistema di autocertificazione che consente di accedere a bonus di vario tipo: bonus calcio, bonus lasagna, bonus altro che qui non posso dire ma.

Mi sembra ragionevole e, anzi, costituzionalmente obbligato.

Fa un po’ fascio? La donna e la famiglia?

Non è vero, le dimostrazioni sono rosse e quindi sono di sinistra.

Le QUOTE ROSSE sono un fatto che non può essere ignorato. E considerarle specificamente in un programma politico non è una discriminazione al rovescio. Neanche al dritto. E neanche di volè.

Certo che, Evetta cara, se proprio dovevi fare tutto questo casino, potevi almeno rubare un diamante: di sicuro sarebbe stato peccato più originale e persempre di una mela.

c.

Pelle liscia come neve. Sci di fondo (tinta).

Sto per scrivere una cosa da femmine. E FRIVOLA. Essendo che io non annoio (quasi) mai posso anche essere intimamente frivola (oltre che vittima di una incontrollabile tendenza allo sciopping compulsivo e compensativo. Ma questo è tema che merita altro è più tempo).

Non per nulla ieri sera alla Pergola ho visto la Locandiera di GOLDONI. Cioè, nella mia infinita bontà ho accompagnato dei personi che non potevano sottrarsi a detta visione. Non che io spontaneamente vada alla pergola a sentire Goldoni. Con rispetto parlando, il teatro dovrebbe fermarsi con l’ultimo dei classici greci e riprendere nel novecento, salva piccola parentesi scespiriana. Non escludo che Goldoni abbia avuto una qualche utilità nella storia dell’umanità. Solo che, assodata quella utilità, tappa di sviluppo verso le solite sorti magnifiche e progressive, io ne faccio volentieri a meno e preferisco chessoio, la versione brectiana dell’Antigone al Politeama a Prato. Goldoni (che il mio mac continua a correggermi con godoni, ma ognuno gode a modo suo) possono continuarlo a studiare tra Parini e ALFIERI (che mi sta già più simpatico, forse per via che a scacchi si muove facile. Tanto che tutti si arrabbiano se gli mangi un alfiere e nessuno si scalda quando gli mangiano un cavallo. E dire che è pieno di negozi di carne equina. Barbari). E possono guardarlo le ultrasettantenni che sono peraltro tenerissime quando teatrano anche loro truccate come se dovessero andare in scena. Io non ci vado più. Anche se, a onor di cronaca, ieri mi sono divertita proprio (basta capire qual è il palcoscenico più interessante).

Dicevo. Anzi scrivevo. Di una cosa frivola. Non che per un maschio sia inutile o necessariamente pallade (atena). Del resto, io riconosco le cravatte (se è per questo riconosco anche un fuori gioco) e anche una barba fatta bene. Quindi anche un uomo (“può essere dolcissimo, specialmente se al mondo oramai gli resti solo tu”, lo stesso che “può sempre avere un’anima, ma non credere che la userà per capire te”, scusate la MINA vagante). Anche un uomo può riflettere otto minuti e mezzo sul FONDOTINTA.



Le donne sanno TRUCCARE. Sanno se e cosa fare PER.

Esempio dalle noccioline:

Sally: “Trascini sempre quella coperta con te, Linus?”

Linus: “In effetti sì, è così. E ora immagino che ANCHE TU comincerai a prendermi in giro!!”

Sally: “Affatto, credo che sia una buona idea… se ti fa sentire più sicuro, è GIUSTO che te la porti dietro!”

Linus: “SMACK”

Sally: “I miei sono riccioli naturali”


Le donne sanno TRUCCARSI

Del resto, esempio dalle noccioline:

Charlie Brown: “…e ricordati che la bellezza è una cosa superficiale!”

Lucy: “Non è vero! La mia bellezza non è solo in apparenza, scende in profondità… strato dopo strato dopo strato!”

“Sissignore”

“La mia è una bellezza SPESSA!”


Le donne sanno truccarsi.

E il trucco è un autoerotismo estetico.

I trucchi danno piacere. E non è solo quello del risultato charmante. È anche olfattivo e tattile.

Impiastricciarsi usando gli OMBRETTI colle dita anziché con gli appositi pennellini (gli ombretti sono le polveri colorate che si mettono sulle palpebre, che a quattordici anni intoni solo ai vestiti, poi via via al posto dove stai andando, ai tuoi colori e poi finalmente al tuo umore).

O leccarsi il ROSSETTO (il rossetto è quello che si mette sulle labbra, che vorresti che la tua amichetta se lo mettesse rosso fino a quando non se lo mette, rosso).

Un grandissimo piacere è poi il mascara nuovo (volgarmente RIMMEL: quello di de gregori. Quello che ti fa le ciglia più lunghe e/o più spesse. A me piacciono lunghe. Quello che da maggiore melodramma alle scenate di pianto perché ti scola sulle gote rendendoti piccola e indifesa. Per questo non bisogna mai usare il mascara resistente all’acqua, se devi piangere come fai?). Il mascara NUOVO fluisce come olio sulle tue ciglia, ti senti gatta e matta.

Ma il vero orgasmo mellifluo (ho scritto pellifluo, della pelle, non mellifluo, perché word non lo capisce?), il godimento cosmico a truccolandia è il FONDOTINTA. Perché è lì che sono riposte le speranze segrete. Di una pelle splendida luminosa e con i pori chiusi. (il riferimento ai pori chiusi mi blocca la metaforizzazione vita – pelle, voglio una vita e una pelle splendide splendenti, ma non posso stare con i pori immaginari chiusi, vabbè).

Ci sono due grandi genus di fondotinta. Fluido e compatto. Quello fluido te lo spalmi colle mani come se fosse una crema, sembra facile ma il rischio chiazza incombe. Ricordarsi di agitarlo. Quello compatto si spalma con una spugnetta ad hoc, a vote impercettibilmente bagnata. Sembra difficile ma è più facile. E poi te lo puoi portare dietro per ritoccarti in macchina prima di. Non so dire quale mi piaccia di più. È necessario averli entrambi e fluire vigili colle circostanze. E poi il colore del fondotinta. Lo provi sul polso e vedi quello che non si vede, che ti fa tutt’uno con il tuo colore. Attualmente sono passata dal fondotinta xxxxxxxxx (che brava che non faccio pubblicità), vitalumière (piccola pubblicità solo per chi già sa) n. 20 (claire, perché l’inverno richiede candore) al n. 45 (rosato, perché la primavera mi accende l’olivastro). Il fondotinta compatto ha un substrato fisso (scatolina con specchio e spugnetta) dove si incastra il refill di trucco vero e proprio. Eccoci qua. Al punto G del trucco. Quando il refill è nuovo nuovo. Liscio come un barattolo di nutella ma senza paura dei brufoli. Prendi quel lisciume te lo trasferisci sulla pelle. E ti vedi sana e bella e luminosa e compatta. Anche le occhiaie diventano sciccose. È rassicurante.

Tutto questo per uscire e sentirsi dire: come sei bella naturale e senza trucco.

Funziona.

Fondotinta, grazie.

A dispetto degli afterhours (e della recensione che non c’è più), non ho più bisogno di fare pensieri superficiali per avere la pelle splendida.

(E voi, genti, diffidate delle donne che non usano il fondotinta perché sudano o non ne hanno bisogno. Non è per bisogno, è per piacere)


c.

della donna e delle feste meste

c’è un momento in cui la festa della donna è un divertente pretesto per uscire colle amiche.

suppongo avvenga negli stessi anni in cui la professoressa delle medie racconta la storia triste dell’incendio
occorso in una fabbrica di donne (che non costruisce donne però) e alberi di mimose nei ciPressi che non vanno a bolgheri.

sono gli anni in cui una fanciulla timorata di dio e degli uomini (poi il timore rimane ma l’audacia prevale) non è che può uscire quando vuole,
e così una scusa è una scusa è una scusa.
quelle cose tipo la pizza e le patatine e la coca cola, insomma,
e parlare del ragazzo che ti piace con l’enduro, che, naturalmente, và troppo forte per te,
e ancora nell’armadio ci sono improbabili cardigan di colore pastello e calzini najoleari pieni di conigli, macchinette, fiorellini.

poi arriva il momento del femminismo.

e allora la festa delle donne è una bufala senza margherita, un effetto PLACEBO (che non è glam rock come il gruppo).

come le quote rosa.

e allora fastidio epidermico eruttativo cutaneo.
come puoi pensare che io vada in quel circolo vizioso.
donne che mangiano attorniate da camerieri sexi più o meno vestiti (che non è esattamente come fare robbbba e mangiare insieme).
e uomini che escono in branco per approfittare di cotanta fortuna diffusa e concentrata e disinibita.
donne che escono con le donne e sperano di tornare con un uomo.

se un povero cristiano musulmano buddista induista o quello che è (non voglio entrare nel ginepraio religioso della pari dignità delle confessioni, ma neanche rischiare che un giudice mi appiccichi una grossa t sul blog, ohibò),

dicevo se un tizio azzarda un omaggio floreale scatta l’attacco perché un giorno e un po’ di giallo non bastano, è meno di una luce piccola e io non so farla bastare.
e guardi le povere donnette che si accontentano dei cadò di serie, cioccolatini e mimose. alle più fortunate tocca il cosiddetto completino intimo o un profumo o un ombretto (per esempio, se io fossi un uomo regalerei trucchi, corredati di biglietti banali tipo “perché sei bella anche senza”). giusto perché si ricordino che è una festa, ma sempre la festa delle donne: semel donna, semper donna.

e tu, come lucy (quella delle noccioline), pensi che aspetterai il sedici dicembre, compleanno di beeeeeethoven perché un piccolo pianista ti faccia un regalo. e nelle more (o nelle bionde, dipende che testa hai) ti organizzi una conventional night, casalinga, perché basti a te stessa.

(sotto

sotto

sotto

sotto

sotto

sotto

però, non può escludersi l’effetto san valentino’s style: non ci credo, però, insomma, un piccolo pensiero anche per me, in fondo puntini puntini puntini).

poi per fortuna il femminismo passa.

salterò a piè pari il pezzo sulle biodiversità: perché una patata è diversa da una zucchina e perché è giusto che nel brodo primordiale abbiano ruoli diversi.

salterò prima col piede sinistro e poi col destro il pezzo sulle quote rosa, che sono incostituzionali, è vero. però quando entri nel mondo ne vedi di cose.

il femminismo passa.

resto io che sono una donna (mediamente isterica come quella che ha le mie stesse iniziali).

non ho le gambe lunghe da poterci fare il giro del mondo in ottanta centimetri (o erano novanta?).
menomale, mi dico, perché è dimostrato che la cellulite è inversamente proporzionale alla simpatia ed alla intelligenza delle cellule circostanti. (questa frase la dovrei togliere? bè, lettore sprovveduto e impertinente, sappi che non sono grassa.)

non ho le gambe lunghe da farci il giro del mondo in ottanta centimetri.

e faccio anche la pipì.

e ho paura di dovere sapere fare troppe cose.

lavorare per non sentirmi dire che il diritto è cosa da maschi
(e quante donne presidenti e nobel e scrittrici e quello e quell’altro non ci sono state).

capire almeno un uomo nella vita, capirlo quando ti sembra che non ti capisca e ti chiede se ti girano le ovaie.

fingere. ad esempio che l’incidente di totti sia una sciagura per i mondiali. o una fortuna per la fiorentina. ad esempio.

cucinare. anche se poi i più bravi scef sono maschi, si sa.

sapere stare. come saprebbe stare odri dappertutto. (ridere o piangere quando è il momento giusto, o, almeno, non farlo quando è il momento sbagliato. dire la cosa giusta o non dire la cosa sbagliata. insomma, ogni tanto stai zitta).

condurre una casa (ma mai qualcosa che si muova).

affrontare un processo di osmosi con una creatura minuscola, sapendo che è un’osmosi che durerà per sempre.

e attenzione ai vestiti, al trucco, alla tonicità. per non rischiare di diventare obsoleta prima del tempo e subire l’upgrade, come un telefonino. perché, a volte, gli uomini entrano in pausa (variamente qualificabile) e hanno bisogno del giocattolo nuovo.

e che facciamo allora?

TERRIBILE: tocca aspettare il principe rosso (“perché azzurro mi fa forza italia”)

che mi protegga dalle paure dell’ipocondria,

dai turbamenti che da oggi incontrerò per la mia via

dalle ingiustizie e dagli inganni del mio tempo

dai fallimenti che per mia natura normalmente attirerò.

mi sollevi dai dolori e dagli sbalzi d’umore

dalle ossessioni delle mie manie.

non importa che superi le correnti gravitazionali

lo spazio e la luce per non farmi invecchiare.

basterebbe che mi creda un essere speciale, ed abbia cura di me.

a quel punto, potrei farcela.

e mi piacerebbe proprio fare la femmina.

c.

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