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mamma 2.0.

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c’è una parola che resiste a tutto.
perché l’amore può anche trasformarsi,
l’amicizia è questione di fortuna,
neanche il sesso basta,
e pure il lavoro più bello é un gioco al rialzo.

ma c’è una parola che sta sveglia la notte e il giorno,
più dolce del latte, più calda del sangue,
che è felice, e se non è felice va avanti lo stesso.
che è istinto ed evoluzione,
ragione e sentimento,
cuore e pancia e anche testa.

che risponde sempre,
che rinuncia a volte,
che sposta i confini
che comunque ci prova,
che cresce anche lei.

aspetto un altro bambino.
si dice che siano le madri a dare la vita, ma in verità é proprio il contrario.
sono felice? si
sono un poco sgomenta? si
so che é normale, e che esiste un mondo di emozioni che non ho cercato, ma che voglio più di ogni altra cosa.

Inviato da iPhone

le trasmissioni riprenderanno, anche se non sono state sospese.

qua sono, come dicono le oche.

in sicilandia, dove non volano le aquile (ma tramano filari di vigne e di spine),

e dove la primavera non ha bisogno delle rondini.

stiamo sistemando una casetta:

se avessi studiato archiTettura il mio anagramma avrebbe più senso, avrei le tette più grosse e adesso saprei come muovermi.

ma c’è un muratore che si fa chiamare ancora mastro,

un ingegnere che forse ingegnere non è mai stato,

e mi sono assuefatta all’odore di calce umida di mare,

al respiro della polvere,

al sapore dei mattoni sconnessi.

non riesco a scegliere i colori. deciderà la luce, che tanto decide sempre per la luce.

La PasQua è una buona squsa per cercare qual è il mio qua.

E io qua sono.

mare giallo

ci sono cose che una brava signorina di belle speranze non dovrebbe fare.
ad esempio
tornare a casa dopo enne spriz con le amiche
i jeans le ballerine e la giacca di velluto a costine

E
spalmare la maionese
su enne fette biscottate wasa da 18 calorie cadauna (speriamo che si tenga).

non è per fame.
ma è inspiegabilmente coreografico.

remissiva
aspetto
il brufolo.

dlin dlon. comunicazione di servizio.

scappo, per tre giorni.

mi mancherò.

il salvagente è sotto la vostra poltrona.

in caso di necessità, le maschere di ossigeno si renderanno automaticamente disponibili.

(indossatele e respirate normalmente.)

vi lascio questo maniglione antipanico.

fatene cattivo uso.

c.

poesia cogitabonda (un pò)

BEATE

le pietre.

serene.


c.

postilla alle donne tragiche

ai pastori erranti che me lo chiedono di nascosto.

sono (in) sana e salva

(come una pistola che ti saluta, a salve;

come un’ostrica che ti saluta, valve;

come un tortellino che affoga nel burro, salvia).

devo solo smaltire le pendenze (ed è difficile stando in pianura)

eppure la primavera mi fa venire voglia di scappare, se solo sapessi A QUO.

eppure la mia seconda donna tragica preferita (e la prima? arriverà)

mi attacca attaccamenti, se solo sapessi AD QUEM.

eccola,

AndroMACA in un’Amaca di Ettore

“Niente, per me, vale la vita:

non i tesori che la città di Ilio fiorente possedeva prima, in tempo di pace,
prima che gungessero i figli dei Danai;

non le ricchezze che, dietro la soglia di pietra, racchiude il tempio di Apollo signore dei dardi, a Pito rocciosa;

si possono rubare buoi, e pecore pingui, si possono acquistare tripodi e cavalli dalle fulve criniere;

ma la vita dell’uomo non ritorna indietro, non si può rapire o riprendere, quando ha passato la barriera dei denti”.

O.

36 ore a Roma.

Non resisto a questo palindromo: AmoR è RomA.


Sarà perché ci sono i tetti di roma, o il cielo di roma, o perché mancano le nuvole.

Saranno i pavimenti di roma, l’A-Roma di roma.

Saranno i tassisti col gagliardetto della roma o del lazio, tertium non datur.

Sarà la statua di giordano bruno sempre lì a ricordarti che. (e saranno le cose ovvie, se è per questo).

Saranno i piatti delle trattorie che anche quando sono piani sono concavi un po’. (e la cucina di roma, e i vini di roma). (e i negozi di roma).

Saranno i ricordi che mi ricordo o la sensazione di presente aleph, o di presente occhio del ciclone lì in quell’angolo o in ogni angolo.

Sarà quel mio non – banchetto da astrologa dietro piazza navona, o il mio non – balconcino a trastevere.

Sarà la confidenza degli sconosciuti o gli occhi.

Sarà che andare a roma per lavoro alla fine è solo venire a roma.

Sarà la mia meravigliosa amica ariete,

le persone che perdo e le persone che ritrovo.

Non resisto a quel palindromo.

E non ci provo nemmeno

c.

prime afosità

il paesaggio è una villa daqualcheparte nell’isolachec’è, non troppo lontana da palermo

è una villa cadente e decadente, da gattopardo scappato con una gatta in calore e senza colore

il paesaggio è un cancello arrugginito, quattro cani per strada di razza ma di razze diverse, che fa caduta di stile,

i muri scrostati sono, con un residuo di olio,

il paesaggio è una finestra con un pezzo di blu e di giallo

e una tenda troppo pesante per stare su

il paesaggio è una tavola con una tovaglia chiara e damascata, lisa, che struscia per terra

e senza tovaglioli, anzi, con i tovaglioli tuttidiversi,

le posate pesanti e un po’ storte d’argento, anche un pò scure e di due tipi diversi e mescolati,

il paesaggio è un vassoio di pasta corta e pesceanchepovero e melanzane e rossopomodoro.

il paesaggio sono io, con la guantiera in mano, che rido.


c.

more than words

la decollazione di lucrezio

per chi si preoccupa e per chi non si preoccupa.

giovanni il dentiman (ariete, asc. leone) mi ha tolto lucrezio.

era un caro dente. un pò ingombrante, voleva farsi strada.

voleva a tutti i costi che diventassi grande e mettessi giudizio.

ma la sacra sindrome di alice pan è più forte.
e così lo abbiamo defenestrato.
l’uomo dei denti mi ha dato: il valium x ammorbidirmi la bocca;

un preanestetico alla pinacolada per non farmi sentire le punture (e lo trovo giusto, non è che nel duemilasei si può sentire l’ago); e fin qui tuto bene.

poi tre punture di anestesia. e fin qui quasi tutto bene.

poi c’era una bloody situation, e allora mi ha iniettato dell’adrenalina:
da questo momento il cuore ha cominciato a battere così forte che neanche x il mio principe azzurro.
e l’aria non voleva entrare.
non è stato molto bello.

poi lucrezio ha alzato la bandiera bianca, e io ho vinto un sacco di punti (in bocca).

adesso sono imbottita di sostanze anticose varie (e di gelato, perchè c’è giustizia al mondo)

ma soprattutto son gonfia come las meninas di picasso.

torno presto.

c.

lucrezio e la pallapazza

Ho mal di testa. Mal di testa si dovrebbe scrivere tutto unito (anche tutto unito dovrebbe scriversi tuttounito): MALDITESTA.

Il mio malditesta è colpa di Lucrezio. Non il filosofo naturale. LUCREZIO il dente del giudizio in basso a destra (in basso a sinistra se qualcuno mi guarda la bocca). Lucrezio sta uscendo e spinge, in questo modo mi fanno male tutti i denti e mi fa male la testa.

Mi fa male la calotta cranica.

Se la mia testa fosse il mondo (e questo non è escluso, in una prospettiva CHIAROCENTRICA), mi farebbe male il circolo polare artico: la Groenlandia, la Lapponia, l’Islanda (al cui abitante la natura scrisse una lettera, un giorno), e se sapessi distinguerle anche dei pezzettini di SveziaFinlandiaNorvegia. A tal proposito Uno ha ipotizzato lo svolgimento di una gara di cani da slitta, nella mia calotta cranica.

Questa cosa che quando hai mal di testa tutti vogliono sapere dove ti fa male esattamente e soprattutto che tipo di dolore è, tra le tante classificazioni ipotizzabili. Che cambia? Male mi fa.

Questo malditesta è come la palla pazza gig. Quando ero giovane avevo una palla arancione di gomma con un’anima di piombo, di modo che quando la facevo rotolare ella (fitzgerald) andava dritto per dieci centimetri (dritto, non dritta: è un avverbio, non un aggettivo) e poi vagava random a destra e a manca (manco per niente). Non aveva le pile. Solo un’anima di piombo. La mia testa ha un’anima di piombo e sbanda.

Ho il MALDITESTA PALLAPAZZA.

Vorrei che arrivasse L’uomo Con L’apriscatole (celeberrima tela di Magritte) che mi aprisse tipo scatoletta di tonno e levasse il piombo. E mi richiudesse. (magari già che c’è potrebbe anche togliere un po’ di difettucci caratteriali).

Lunedì il signor dentista mi toglie Lucrezio. Non mi sento di escludere che ne avrete contezza.

Adesso ascolto i Bluvertigo, magari fanno effetto doppler omeopatico e mi passa.

c.

“la televisone che osservo a casa
serve solo per il mio malditesta
tornare da milano all’ora di punta
serve solo per il mio malditesta
amo molto il rumore per la techno
serve solo per il mio malditesta
BELLO L’AMORE MA UNA RAGAZZA
PUÒ SOLO AUMENTARE IL MIO MALDITESTA

e allora vado,comincio a cercare,
aprire i cassetti del comodino e quelli del bagno piccolo:
devo risolvere il problema o credere di risolverlo

PERCHE’ GIOVE HA CAGATO FUORI MINERVA DA UN’EMICRANIA

ho bisogno di pillole che facciano passare il mio malditesta

le lezioni che subisco a scuola
servono solo per il mio malditesta
MI PIACE LA BRAVURA MA A VOLTE IL JAZZ
SERVE SOLO PER IL MIO MALDITESTA
non odio il calcio ma chi ne abusa
serve solo per il mio malditesta
e spesso di sera se non digerisco
accuso leggeri principi di malditesta”

(Bluvertigo – Il mio Malditesta)

sefAmori

Nell’anno cinque ho fatto diciotto anni ed è per questo che il quattro luglio mi sono patentizzata.

Indipendenza chiamericana.

L’idea era che gli uomini (da menti semplici secondo la nota definizione della mia meravigliosa amica ariete) avrebbero avuto tre funzioni essenziali alle quali tutte le altre potevano essere sussunte: guidare, fare i buchi al muro con il trapano, e il sesso.

Da qui, sarebbe stato assolutamente inopportuno che io prendessi la patente, privando le simpol mainds di cui sopra di una delle loro rationes.

Poi le cose cambiano, i figli crescono, le donne imbiancano, le mezze stagioni hanno pensato di accoppiarsi così da diventare intere. Del resto che differenza c’è tra la primavera e l’autunno, dal punto di vista di una palla di vetro con un duomo a forma di meringa e le foglie (o i fiori) che scendono e salgono quando la accappotti? Ma non dilaghiamo e non divaghiamo.

Le cose cambiano. L’assunto non è cambiato, però. Inevitabile truismo. E allora? Io ho preso la patente lo stesso, ma non è che la coerenza devo cominciare a cercarla proprio qui.

Rimane il problema dei marciapiedi, delle colonne che spuntano come funghi quando devo fare retromarcia (del resto anche i funghi congelati sono duri come le colonne, infami), della frizione consumata, delle spazzole che sporcano i vetri anzichennnò.

Però poi arriva la dolcezza dei riti: la funzione random cogli emmmepitre di nino il frontalino, che cerca la canzone perfetta per un momento che non è perfetto (altrimenti non avrebbe bisogno di cercarsi una colonna sonora, un’altra colonna? È il momento delle trabeazioni), la canzone adatta non arriva, nino impazzisce e non sceglie più, cantatela da sola la tua canzone, cretina.

La funzione sigaretta col finestrino aperto e il calduccio a palla: perché è tardi, perché è presto, perché sto per fare una cosa noiosa, perché sto per fare una cosa divertente, perché sono stressata, perché sono rilassata, perché sono sola, perché siamo in due: abbiamo il tempo di una sigaretta?

E poi c’è il driver watching ai semafori. Uno (…) una volta ha scritto un sonetto sugli amori che nascono nell’intervallo di un arancione che diventa rosso e poi diventa verde. Che l’arancione diventi rosso ci sta, visto che arancione = rosso + giallo. Assai più singolare che il rosso diventi verde, visto che verde = giallo + blu. Ogm? E soprattutto, la segnaletica stradale orizzontale e verticale è uguale in tutto il mondo per una convenzione, oppure risponde ad un archetipo che dorme nella notte dei tempi? Cosa direbbe froid? Che sua mamma era una signora in rosso, e per questo il rosso inibisce i passaggi, dappertutto? E perché i tori col rosso scattano come molle? E ai laburisti allora spetta il verde? Chiusa parentesi.

Uno una volta ha scritto un sonetto sugli amori che nascono nell’intervallo di un arancione che diventa rosso e poi diventa verde. Ero così gelosa e triste, perché, ovviamente, ci ho creduto. Per questo ho preso la patente? Comunque. Da qui i semafori sono diventati sefAmori, e le genti si guardano negli occhi. Pensando: adesso apro la porta ti prendo e ti porto via come se fossi il libro di ammaniti. Pensando: se la pianti di guardare posso giocare col mio naso. Oppure, sono più bella di te, donnetta. La tua macchina è troppo brutta per fartimi guardare, povero. Peccato che i piedi non si vedano perché ho davvero delle scarpe bellissime.

E i film? Penso a chi sei, cosa fai, dove vai (un fiorino) come mai l’hai portato con te e il suo ruolo mi spieghi qual è. Ti faccio vivere vite talmente parallele che non pensavi di poterle avere neanche in quell’altra galassia. Che ti stanno talmente bene che più che viti, entrano come chiodi. Con straordinarie possibilità perequative, magnifiche sorti progressive che neanche il sistema tributario secondo la costituzione. Per cui la biemmevvù cupè sta portando a cena l’amante strafiga, ma non riusciranno a fare robba per colpa dell’alcoool, e poi l’analista gli sta costando un sacco. E la signora panda ha la torta millefoglie per il compleanno di Mariolina, speriamo non si sciolga, sono spettinata, ma che bello. E quei due sulla reno quattro? Banalissimo, lei sta pensando all’esame e che non lo ama più, lui le tocca i capelli con la coda dell’occhio e lei cambia idea, e noleggiano un film abbastanza pesante o stupido così da non doverlo guardare.

E poi ci sono i film autobiografici: di tutte le macchine nelle quali mi immagino tra enne anni con ics icspressioni, sempre in ritardo.
Poi ripartono: sgommando, slalomando, parolacciando. Di solito do la colpa alle sorelle, dalle quali tutti devono correre per bloccare flussi di fluidi con i soliti idraulici (che infatti arrivano sempre in ritardo). Forse perché sono figlia unica (e Chinaia non può passare al Frosinone).

Sto cercando di insegnare alla mia macchina a partire in terza. Si spenge. Clacson.

Mi raccomando, non usare gli abbaglianti incrociando gli altri veicoli.

c.

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