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disagiometro

il disagiometro

sale di livello.

mi sembrava di averlo già pensato tipo a marzo.

il livello del disagio è direttamente proporzionale alla quantità di messaggi pervenuti da gente che era caduta nel dimenticatoio e, senza rancore, ci stava pure bene dimenticata.

tipo l’amico dell’amico conosciuto a una festa all’università che gli ho dato il numero perché era amico dell’amico e pareva brutto, ma non siamo mai usciti dico mai, neanche per un caffè, per un tè, per un bicchiere d’acqua, no grazie sto bene così.

e quello si tiene il numero per vent’anni,

che per capire chi era quando mi ha scritto ho impiegato tre ore e mezzo e non mi ricordo neppure bene la faccia, che ha pure la foto profilo tenebrosa forse è batman.

o quello incontrato per caso sull’aereo all’andata e poi anche al ritorno,

carino che se ne è accorto e pure mi ha sceso transitivamente il bagaglio a mano dalla cappelliera stando molto attento a non fare cadere gli oggetti sfusi per carità.

che coincidenza pazzesca dobbiamo assolutamente vederci, invece sliding doors va così che non ci siamo mai più visti e sinceramente neanche scritti mai neanche per gli auguri di compleanno e infatti non mi ricordo neppure di che segno sei, che è gravissimo praticamente non so come ti chiami.

oppure quello che devo ammettere ci siamo baciati mille anni fa ed era stato pure un bel bacio e così era un bacio che poteva affacciarsi su un universo di mille possibilità, invece lui ha fatto una cattiveria troppo presto, neanche il tempo di restarci male e piangere un po’, o magari la cattiveria la ho fatta io, ma comunque è evaporato assieme a cose di cui non sentiamo la mancanza tipo le spalline, lo smalto col righino bianco, i levi’s 501 che alle femmine stanno male bisogna ricordarselo e il profumo al muschio bianco.

e tutti questi personaggi ex nihilo dove pensano di fittare, con buona pace di Lucrezio?

bo. loro si palesano,

giustamente adducendo pure una motivazione.

perché in effetti se spunti dall’oltretomba qualcosa dovrai dire (anche semplicemente raccontarci come sta Euridice).

e così dal dimenticatoio si domandano come stai Chiara,

in questo periodo così incredibile,

spero tutto bene (e a me parte lo scongiuro),

ma soprattutto spero di vederti presto.

presto? ma presto quando?

presto prima che sia troppo tardi?

oppure presto quando tutto sarà finito in una onda di ottimismo che però, purtroppamente, non é contagiosa?

oppure si palesano perché hanno pensato pensato pensato pensato pensato e cosa hanno pensato, hanno pensato che persona meravigliosa che eri tanti anni fa e anche adesso sicuramente sarai meravigliosa e che grande spreco ma perché non ci rivediamo.

in effetti potremmo scaldarci questa deliziosa minestrina MA,

questo purtroppo non è il numero di Chiara.

capita spesso che chiamino per sbaglio cercando Chiara ma questo è il numero di Giulia.

Chiara è una stronza e ti ha dato il numero sbagliato.

però non desistere tu, tu che stai in preda a uno spasmo romantico da ansia pandemica.

persisti.

magari ha cambiato solo l’ultimo numero. prova a sostituire lo zero finale con gli altri 9 numeri dell’alfabeto.

i moderni

i moderni usano delle formule inappropriate.
(sovente chiosando delle foto che a loro volta sono sovente inutili).
e alle quali viene sempre da aggiungere “un cazzo”.

per esempio “semplicemente”.
semplicemente io,
semplicemente tu,
semplicemente noi.
come se fosse semplice essere io,
essere tu,
figuriamoci essere noi.
i compromessi, le aspettative, le frustrazioni, la soglia dell’accettabilità, la soglia della inaccettabilità, l’intermezzo tra le soglie, l’orgoglio, il pregiudizio, la permalosità, la permanente, l’impermanente.
semplicemente?
un cazzo.

i moderni mostrano inoltre grande stupore rispetto al fisiologico processo di maturazione che dovrebbe coinvolgere tutti gli esseri viventi.
foto. chiosa: “piccoli… crescono”
possono essere esploratori, alchimisti, mangioni, sportivi, puttanieri, chitarristi indipoppp,
eccetera eccetera eccetera.
crescono.
un cazzo.
la sacra sindone di peter pan è in agguato su tutti noi.
e quindi oh stupore se qualcuno fa qualcosa di maturo.
perché vorremmo stare tutti con la tunichetta dal punto di verde indefinito tra la salvia il pistacchio e il vomito a cercare l’isola che non c’è e la polvere di stelle e campanellino.
appunto. non c’è l’isola. non c’è.

e poi i moderni amano risparmiare.
risparmiano usando le K anziché ch,
X anziché per
e via e via e via.
che cosa risparmiano poi?
cosa faranno mai con quei secondi risparmiati?
semplicemente, un cazzo.
però poi mettono la D eufonica quando la parola successiva non comincia con la stessa vocale. ed ancora tu. ed anna. ad irritarmi. ad enfatizzarmi.
semplicemente, piccoli risparmiatori di consonanti crescono un cazzo.

ma adesso la gran moda dei moderni è “manchi”.
senza complemento (salve sono un verbo, ma non ho bisogno di complementi. no, non faccio complimenti: sono un verbo decomplementato).
non mi manchi, ma manchi.
a chi manchi?
al cazzo.
oppure è un manchi globale?
manchi al mondo,
manca la magia che apportavi allo spaziocosmo.
manca di sentire la mancanza quando manca.
la nostalgia del totalmente altro (horkheimer funge sempre da adorno).
oppure è un manchi riflessivo?
tu manchi a te stesso.
o tu manchi della parte migliore di te,
che sarebbe lei.
quindi in realtà manca lei.
un manco monco.
oppure è un mi manchi allusivo?
mancano le farfalle nello stomaco,
manca vomitare farfalle.
che poi sempre insetti sono.
a questo punto meglio vomitare vino.
manca il film in bianco e nero nella vita a colori.
o mancano i colori in un film in bianco e nero.
dissolvenza.
titoli di coda.

moderni cari, se volete fare i postromantici, guardate lelouch.

cammelli adolescenti e mongolfiere

però,

se si potesse allargare la cruna dell’ago così da farci passare un cammello, due cammelli, tre cammelli…

avremmo un ago cammellato.

e con un ago cammellato cosa ci fai, dirai tu?

ci posso cucire ovviamente, dico io.

e cosa ci cuci, dirai tu?

un sacco di cose, dico io.

per esempio

una coperta che è una mongolfiera

perché a volte è tempo di nascondersi e a volte è tempo di scappare

(senza per forza richiamare l’ecclesiaste

che il cammello e la cruna erano in effetti già abbastanza biblici).

e con cosa cuci, dirai tu?

allora ascolti, dico io.

cucio le contraddizioni, per esempio:

tra ingenuità e acume,

tra erudizione e delicatezza,

tra leggerezza e serietà (cit.)

e cosa viene fuori, dirai tu?

un disegnino grandissimo, dico io,

mica si può fare a tinta unita la mongolfiera,

che la sobrietà rassicura ma stanca al secondo giro di do,

e che se poi la mongolfiera dovesse scoppiare, hai visto mai,

almeno avremmo una pioggia di coriandoli.

e quindi, dirai tu?

e quindi, dico io,

viene fuori un modo,

che poi non lo so se è una somma di ricordi o di desideri,

non cambia poi tanto in effetti,

viene fuori un modo

di sentire gli occhi lucidi

di cantare nello stomaco

di nascondersi tra una spalla e un.

si ma il disegno, dici tu?

nel disegno ci sono due seduti nell’acqua bassa, dico io,

e ovviamente c’è una luce bellissima,

e lui dice a lei:

“abbiamo finito gli esami di maturità e adesso dove ci iscriviamo?”

e lei pensa:

sarebbe bello essere nel tipo giusto di periodo ipotetico.

DiDdiA

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voglio scriverla anche io una canzone indi,

indi-pop

indi-ana

indi-per-cui

la scrivo anche se sono stonata e la musica sta nella testa, come faceva beethoven anche se il paragone è ardito e lo cancell…..

essa canzone la chiamiamo DiDdiA che è un acronimo malfatto per Deficit Di Attenzione.

PRIMA SCROFA STROFA (un po’ di serità per Dio, che poi questa ansia di non nominare il nome di Dio invano. Non è invano, solo che c’è una preghiera sottointesa dopo Dio, per esempio: perchè non insegni a quello a guidare meglio e a non sorpassarmi da destra in modo radente? Oppure: perchè non incoraggi quella colonia di insetti a fare un nido lontano da qui? Oppure: perché non puoi fare in modo che ci amiamo per nove settimane e mezzo ancora? Non è che il nome di Dio non è pronunciato invano se dopo c’è tutto il Padre nostro, e invece è pronunciato invano se c’è tutto un non detto che però esiste). Fine della parentesi. E non divaghiamo.

Torniamo alla canzone.

PRIMA STROFA

soffro-o-o-o-o di deficit dell’attenzione,

mi distraggo se non mi entusiasmo e non mi parte il broncospasmo,

mi distraggo se mi avvilisco e poi non lo capisco,

mi distraggo se mi annoio – mi distraggo se mi annoi – mi distraggo se ti annoio

perchè soffro di deficit dell’attenzione ma lo faccio anche in proiezione,

e allora

dammi un caleidoscopio, un camaleonte, una scatola di ombre cinesi,

facciamo un blob, un giro di boa, una nemesi

SECONDA STROFA

soffro-o-o-o-o di deficit dell’attenzione,

perchè ho perso la memoria di medio periodo, mi ricordo cosa ho mangiato ieri sera, la poesia al liceo, un sacco di mare blu,

ma ho dimenticato gli ultimi anni e chissà chi c’era in più,

i libri che ho letto, i letti che ho amato, gli amati che ho perso, e le bruttezze senza senso,

no, ma non sono un coglione, soffro di deficit smemorato dell’attenzione,

e allora

dammi un diario, una foto, un’amica che mi tenga la contabilità,

che mi ricordo i miei sogni, non ho imparato niente e resta un po’ di fatalità

TERZA STROFA

soffro-o-o-o-o di deficit dell’attenzione,

perchè sono un’insicura di merda e rischio che il vento mi disperda,

ogni tre cose intelligenti che penso devo dire una cretinata,

ma poi mi confondo e dico prima la cazzata, non trovo più i tre pensieri intelligenti e parte la frittata,

perchè soffro-o-o-o-o di deficit dell’attenzione e anche di ansia da prestazione,

e allora

dammi una lista, un elenco, un sussidiario,

perché perdo le parole e mi manca il  vocabolario

QUARTA STROFA

soffro-o-o-o-o di deficit dell’attenzione,

perchè mi sento sola e mi sento abbandonata,

se non mi dici che mi pensi quando sono svalvolata,

e aveva ragione che volevo essere lo scià di persia,

mi serve una porta che ruoti attorno al mio cardine, e mi serve un cardine che voglio fare la tua porta,

perché senza accudimento mi sento un po’ storta,

allora

facciamo la bussola io sono il nord e tu fai l’ago, o tu fai il nord e io sono l’ago,

o facciamo un lago di autarchia emozionale,

che soffro di deficit dell’attenzione, ma ci salviamo tutti se torna un carnevale

e le cicale quando cantano sembra il rumore di una macchinina con la retrocarica,

che non c’e rima ma non fa niente, soffro di deficit dell’attenzione e ho il pensiero impertinente

o-o-o-o-o

 

small talks

“Small talk is an informal type of discourse that does not cover any functional topics of conversation or any transactions that need to be addressed. Small talk is conversation for its own sake” – da wikipedia (lo so: il copyright, le donazioni, le autodiagnosi, dove sta la verità e soprattutto a chi interessa)

***
al quinto giorno su questo lungosabbia,
sono arrivata alla conclusione di essere sociopatica.

posso parlare:

dei mostri a forma di biscotto che escono da sotto il letto la notte;

di come il punk sia la domanda;

di come il sesso sia la risposta sia pure non sempre pertinente;

di elenchi di cose di quattordici lettere cioè sopravvalutate,

del mondo che va a rotoli e speriamo almeno che sia un rotolone regina così c’è speranza che non finisca prima che la cacca vada dappertutto;

dei famosi atti di gentilezza a casaccio;

della bellezza che doveva salvare il mondo;

di cosa salverà noi, se abbiamo bisogno di essere salvati e poi chi salverà il salvatore;

di gruppi non omogenei di cose che aleggiano in quelle massime di saggezza che circolano, circolano dappertutto e nessuno più sa chi li ha scritte, forse si sono scritte da sole come la prima cellula del mondo che si è fatta una grande sega e però sono arrivate lo stesso tutte le altre, e quindi liste di argomenti di cui parlare: gli atomi, gli alieni, le galassie tutte, Marte soprattutto che non è una stella; la vita dopo la morte, la morte dopo la vita, la vita dopo la vita e allora ci vuole anche la morte dopo la morte che fa molto per chi suona la campana (ansia); il sesso lo avevamo già detto; tutte le bugie che abbiamo detto; i miei odori preferiti (anche i tuoi, eh); quando eravamo piccoli e quanto siamo rimasti piccoli; cosa ci tiene svegli la notte; la paura; l’insicurezza; le dipendenze; le vigne le palme e i parassiti.

Posso anche parlare di questa cosa che ci sono persone che a quanto pare vampirizzano altre persone e non c’è soluzione se non scappare e non farsi incantare da Twilight.

E pure di quello che ci piace bere e mangiare, soprattutto se c’e un po’ di frutta secca dentro, basta che non mi fai vedere le foto o se proprio devi, che il piatto sia mezzo vuoto o mezzo pieno.

Eppure, nonostante queste infinite possibilità, le small talks arrivano puntuali periodiche perpetue e non basta nascondersi dietro gli occhiali da sole.

Da quante ore sono qui adesso e anzichè collezionare conchiglie sto collezionando sequele (ho sempre voluto dire sequele, mi sarebbe piaciuto di più scrivere pompino, ma non era pertinente) di domande brevi e inutili che si susseguono senza che ci sia il tempo di una risposta. E più che il tempo, l’interesse.

L’unica salvezza è la supercazzola.

COME STAI? – così perché alla fine sto leggendo Controvita di Roth, con queste  persone che rischiano la vita per modificare destini apparentemente irreversibili, ma il realismo mi mette ansia, non mi piace eppure ci ricasco sempre. Però vorrei comprare un cocker fulvo. Credo che mi piacerebbe avere qualcuno che scodinzoli intorno a me tutto il giorno.

CHE FAI? – trovo francamente intollerabile che a volte i rubinetti siano montati al contrario e dal blu esce acqua calda e dal rosso acqua fredda. Forse sono progettati per essere utilizzati nell’emisfero australe?

COME SONO GRANDI I TUOI FIGLI/TI ASSOMIGLIANO/IN CHE CLASSE VANNO – qui veramente dò il meglio di me. Sono alti si, l’idraulico era altissimo. Assomigliano a me per il resto si, a parte che T. ha il pisello e io no, ma l’idraulico si. Grazie al cazzo. In effetti le parolacce sono tornate di moda, uno me lo diceva sempre “chiara non bisogna avere paura delle parole”. Si certo i bambini, devono sapere che le parolacce esistono per non ripeterle, i miei hanno il permesso di usarle a sedici anni oppure quando riportano un discorso con le parole esatte. È diritto di cronaca. Non vanno a scuola perché preferisco non siano omologati: abbiamo un precettore colombiano, ex spacciatore ma si sta inserendo.

QUANDO SEI ARRIVATA/QUANDO PARTI/CHE PROGRAMMI HAI: arrivata stamattina parto stasera: breve ma intenso, bisogna andare via quando partire è doloroso, è l’unico modo di sopravvivere alla noia, che possiamo fare. Progetti per il futuro: sottovalutare le conseguenze dell’amore, altrimenti siamo fottuti.

MA COME SEI SIMPATICA CHE TI LEGGO SU FACEBOOK PERCHE’ NON SCRIVI UN LIBRO – non posso soffro di deficit di attenzione attivo e passivo poi te lo spiego, mi vengono bene solo le liste e gli elenchi, il mio sogno infatti è scrivere liste della spesa da regalare a chi sta entrando in un supermercato e poi raccogliere le firme contro le small talks.

COSA SONO LE SMALL TALKS – una forma di dermatite atipica. Ci vediamo, sono un po’ sociopatica ma chiamami per piacere che ti penso moltissimo e magari prendiamo un caffè uno di questi giorni così ci aggiorniamo su tutto quello che stiamo facendo in questo periodo.

(Senza) perdere lo smalto

Fare una cosa dopo tanto tempo dall’ultima (sottinteso volta che essa stessa medesima cosa è stata fatta) può essere complesso.

È una nemesi, un cytomegalovirus, una diaspora, una peronospera che toglie tutta magia della cosa che che si sta facendo.

Tipo. Chiami una persona che non senti dai mondiali dell’84, e lui/lei/l’altro, anzichè essere contenta della telefonata, prima ti cazzìa perchè i mondiali in effetti occorrevano nel 1986 e poi si rammarica perché non ti sei fatta sentire per tutto questo tempo. E la gioia del risentirsi? Alle ortiche (o ai porci, a seconda del regime alimentare di riferimento).

Tipo II. Ricominci a correre dopo un anno, e anzichè pensare cavolo che bello l’acido lattico (l’acido l’attico. il basico sotterraneo) i rumore dei passi il fiatone i semafori rossi bontà loro gli autobus fermi col motore acceso che puzza le guance rosse post orgasmic chill degli skunk anansie eccetera eccetera eccetera, pensi epperò se non avessi smesso adesso sarei più veloce. E l’endorfina? Alle ortiche come sopra.

Ma abbiamo tempo per tutto questo?

(domanda retorica. risposta ovvia. lascio un rigo giusto per la suspance).

No.

E quindi, adesso che ho aperto questa pagina e non scrivevo da un anno è più, decisamente non ho né tempo né voglia di domandarmi perché non l’ho aperta prima, perché lo sto facendo adesso e – soprattutto – se ho davvero qualcosa di molto grazioso da scrivere. Sarà l’effetto Gep Gambardella con alcuni (ma molti moltissimi) lustri di anticipo.

E così, di punto in bianco (a parte il prologo), sintetizzo solo un preziosissimo insegnamento che ho tratto dalla mia più recente e densissima vita interiore.

(Che poi se essa vita interiore si acquietasse un momento e lasciasse passare così sottobanco almeno una emozione ogni tanto, anche una di quelle minuscole che appunto non darebbero noia a nessuno, tutto scorrerebbe più liscio e senza particelle di sodio. E invece no, ma andiamo oltre).

Esso preziosissimo insegnamento si condensa in una metafora.

Lo smalto (per le unghie) come metafora esistenziale.

Ed essa metafora esistenziale si articola in alcuni sub pensieri, ovviamente contraddittori.

Pensiero n. 1
I rapporti interpersonali sono come lo smalto.
A un certo punto, puoi provare ad agitarlo, a capovolgerlo, a prenderlo in giro con l’acetone o con le apposite gocce di diluente.
Però, se si è seccato dentro la boccetta,
a un certo punto bisogna prenderne atto e buttarlo nel bidone.

***
Pensiero n. 2
Le cose importanti della vita (quelle che non sono cose, come dicono i graffitari) sono come lo smalto.
Devi mettere la base, poi esso smalto medesimo, poi il top coat.
Ma, soprattutto, devi dargli il tempo di asciugare senza fretta.
E, finché non asciuga, non si deve fare niente di niente: non toccare il telefono, non mangiare, non tentare di massimizzare il tempo.
Perché ci vuole il tempo che ci vuole (come direbbe anche il muratore di peppa pig).

***

Pensiero n. 3
Le cose che piacciono sono come lo smalto. Bisogna cercare il colore giusto, la bottiglia giusta, la consistenza giusta. Se si sbaglia si prende l’acetone e si ricomincia.

***

Pensiero n. 4
Molte cose della vita della vita valgono quattordici lettere in quanto sopravvalutate, come lo smalto. E infatti lo smalto semipermanente è inutile e triste come la birra senza alcool (come ebbe a dire Frusciante) ma ci sono un sacco di mani felici che fanno cose felici tenendosi lo smalto sbeccato e asimmetrico. Amen.

***
Pensiero n. 5. The last.
(metafora sintetica, perniciosamente allusiva, dettata dai fumi dell’alcool, e facente affidamento sulla tarda ora)
Lo smalto è come la vita intera.
Tutta una questione di pennello.

***
Pensiero n. 6. (Sorpresa) Metafora della metafora.
Lo smalto è come il vodka martini.
Agitiamoci ma non mescoliamoci.

posso aggiungere willie coyote al presepe?

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e così, meno di una settimana fa il mio bambino numero due
(il mio adorato bambino numero due che è un duenne) è caduto da una scala,
ha battuto la testa, si è fatto male all’orecchio e si è rotto la clavicola.
è buffo perché ricordo che dieci anni fa pensavo che la clavicola fosse l’osso più sexy dell’apparato scheletrico, mentre adesso mi sembra che il mondo intero poggi non sulle spalle ma sulla clavicola di atlante.
ma non voglio parlare della notte in ospedale, della paura, del rumore che fa il cuore di una donna quando si ammacca.
neanche del tassista berna 23 che andava a 27 km orari e, quando in lacrime gli ho chiesto se per favore poteva andare più veloce che dovevo raggiungere il mio bambino all’ospedale, mi ha detto signora se voleva correre doveva chiamare un’ambulanza (pure inappropriato, oltre che maleducato, visto che il bambino era già al pronto soccorso e io, perlomeno all’apparenza, ero sana).
e nemmeno parlare dell’albergatore che mi ha chiamato arrabbiato la mattina dopo per farmi il cazziatone che non sono partita e non sono arrivata in albergo, e quando gli ho detto mi scusi io sono una persona precisa, ma sono all’ospedale eccetera eccetera, mi ha abbracciato con la voce e mi ha detto di non preoccuparmi, per cui per ogni stronzo che si muove c’è una brava persona che sta ferma, e quindi il mondo resta in equilibrio nonostante tutto.
niente tristezza che non piace a nessuno leggere le cose tristi,
e soprattutto perché la testina stava bene, dopo tutto,
e, dopo tutto, mi sono solo dimenticata di respirare per trentasei lunghe ore.
voglio scrivere solo di come un duenne si rompe la clavicola e va in giro con una manica della felpa a penzoloni perché il braccino è lì dentro tutto fasciato,
e sembra un incrocio tra napoleone e un veterano di guerra,
ed è un piccolo, piccolo, eroe.
perché il duenne non si lamenta.
non fa l’elenco delle cose che non può fare,
nel giro di un niente impara ad alzarsi e sedersi in questa nuova versione,
impara a fare tutto col braccino sinistro, come se fosse sempre stato così.
e fa tutto, tranne togliere i tappi ai pennarelli ma per questo c’è la mamma.
ogni tanto dice ai-ai ma si tocca parti del corpo che non si sono fatte male,
e io gli dico vuoi un bacio, e lui dice sisi e comincia a ridere.
e non so se tutto questo ha senso e sentimento per tutti quelli che non sono mamma o che non sono me.
però è un piccolo pensiero dicembrino, mentre tutti cantano a natale puoi,
e vorrei aggiungere a natale puoi non perderti di animo, rimboccarti le maniche (una o due a seconda dei casi), non dimenticare di respirare e di provare a sorridere.

ps. colonna sonora Elliphant, North star (bloody christmas)
(“and we dance around the tree”)

ero scesa a comprare le sigarette. sono tornata con un uomo e una bambina. e, ovviamente, senza sigarette.

non scrivo da un anno nove mesi e diciassette giorni.
per fortuna il blog è mio, quindi mi faccio la giustificazione da sola e me la accetto.

cosa è successo in questo spaziotempo?

ero andata a comprare le sigarette, poi….

ho cominciato un post doc.

sono andata a vivere in campagna.
ho capito che la campagna non fa per me, quantomeno nel medioperiodo (dove per medioperiodo si intende un tempo che dura più di un week end e destinato a ripetersi all’interno di uno stesso mese).
sono tornata a vivere in città, che è decisamente più sexy.

ho ricevuto una proposta di matrimonio.
ho accettato una proposta di matrimonio.
ho organizzato un matrimonio.
ho scelto un vestito da matrimonio.
ho detto una serie di si.

ho fatto un lungo viaggio.
sono tornata.

ho smesso di fumare.

ho litigato con la mia migliore amica.
o meglio, la mia migliore amica ha litigato con me, e non so il perché.
ho pensato di avere una migliore amica, e ho capito che era un calesse.
ho capito cosa è l’amicizia.
ho capito cosa non è l’amicizia.

sono stata male (fisicamente).
ho avuto paura.
mi è passata la paura.

ho cominciato ad aspettare un bambino.
ho scoperto di aspettare un bambino.
ho capito di aspettare un bambino.
ho aspettato un bambino.

era una bambina che aspettavo,
ed è nata.
ho scoperto che tutte le frasi fatte sulla mammosità sono vere, ed è bellissimo.
ho anche capito a che servono le tette, per davvero. e questo è dolcissimo.

avrei potuto scrivere di ognuna di queste cose,
ma se la storia non si fa con i condizionali, figuriamoci un blog.

adesso però sono qui
e sono piena di storie.

happy me…

per essere me,
bastava nascere UN oggi alle ore 16.40 a erice?

astra inclinant sed non necessitant.

comunquo
tanti auguri a me,
me.

gintris.

“Ubriaco di trementina e di lunghi baci,
guido il veliero delle rose, estivo,
che volge verso la morte del giorno sottile,
posato sulla solida frenesia marina”, dice Neruda Pablo.

è tautologicamente inebriante essere ubriachi.
essere ubriachi senza bisogno di bere.
essere ubriachi bevendo.
essere ubriaChiara, per quanto di mia competenza.

UbriaChiara di:
a) io so chi;
b) nero d’avola;
c) cosmopolitan.

quando non si può
ho un barbatrucco.
il gintris.

che ha il grosso vantaggio di farmi (ci-vi-si) brillare di brillitudine propria
anche quando non si può o non si deve
o manca la materia prima (l’alcool), la materia seconda (il ghiaccioellimone), la materia terza (il bicchiere), in-somma (ma due più due, farà quattro?)
insomma nelle micropause non dormienti di lavoro.

da qualche parte si può scaricare.
(non devo certo io spiegare come quando dove e perchè).

il gintris.

funziona come il tetris. ma al posto del rettangolo c’è un bicchiere ghiacccio e limone.
e al posto del lego ci sono delle bollicine di gin colorato.
scoppiano a quattro a quattro, dello stesso colore, ovviamente.

è una metafora della vita,
(del resto tutto nella vita può essere una metafora della vita).

attenzione,
dà dipendenza.
e anche questa è una metafora della vita.

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